“Dubliners” is a collection of fifteen short stories written by James Joyce in which the author analyses the failure of self-realisation of inhabitants of Dublin in biographical and in psychological ways. The novel was originally turned down by publishers because they considered it immoral for its portrait of the Irish city. Joyce treats in “Dubliners” the paralysis of will in four stages: childhood, youth, maturity and public life. The paralysis of will is the courage and self-knowledge that leads ordinary men and women to accept the limitations imposed by the social context they live in. In “Dubliners” the style is both realistic - to the degree of perfectly recreating characters and idioms of contemporary Dublin - and symbolic – giving the common object unforeseen depth and a new meaning in order to show a new view of reality. Joyce defines this effect “epiphany” which indicates that moment when a simple fact suddenly explodes with meaning and makes a person realise his / her condi
È stato un colpo troppo duro non solo per il ciclista, ma anche per le tante persone che si erano appassionate al ciclismo grazie a quel ragazzo romagnolo che, quando si alzava sui pedali in salita, diventava imprendibile.
Quando il gioco si faceva duro, ecco che spuntava il "Pirata" con quel mix di fatica e forza di volontà che mandava in estasi i tifosi che ne apprezzavano anche l'estrema semplicità. L'atleta romagnolo, capace di rimettersi in sella dopo un grave incidente (era stato investito da un'auto in allenamento), aveva centrato nel 1998 l'accoppiata Giro D'Italia -Tour de France, entrando così nell'Olimpo dei più forti ciclisti di sempre. Nella stagione successiva, Pantani sembrava aver messo le premesse per un bis alla "Corsa in rosa", ipotecando il successo finale alla vigilia dell'ultima gara del trittico delle Dolomiti, congeniali alle sue doti da scalatore.
Quel giorno, invece, è iniziato il declino della carriera di Pantani, il quale, nonostante i numerosi tentativi di tornare in sella sulla sua bici, non è riuscito a replicare le imprese del passato, finendo, così, nel tunnel della depressione e della dipendenza da cocaina, sostanza stupefacente che pose fine, secondo l’autopsia dell’epoca, alla sua vita il 14 febbraio 2004.
In base ai controlli effettuati dai medici dell’ UCI (Unione Ciclistica Internazionale), si sono riscontrati in Marco Pantani valori dell’ematocrito (la percentuale di globuli rossi presenti nel sangue) troppo alti: 52% contro il 50% consentito dai regolamenti internazionali.
Al fine di preservare il campione italiano da rischi per la sua salute, è stato "fermato" per 15 giorni, in attesa del ritorno dei valori alla normalità, precludendo, così, la sua partecipazione al Giro d’Italia.
La reazione di Marco Pantani fu un mix di incredulità e rabbia: "Mi sono rialzato, dopo tanti infortuni, e sono tornato a correre. Questa volta, però, abbiamo toccato il fondo. Rialzarsi sarà per me molto difficile". Dopo diversi giorni di silenzio in cui si ritrovò a fare i conti con processi mediatici, e con l'accusa infamante di aver fatto ricorso al doping, Pantani decise di raccontare la sua verità in una conferenza stampa rilasciata al giornalista Gianni Minà, nel corso della quale dichiarava: "Sono uno dei pochi corridori al mondo senza un preparatore. Ho la coscienza a posto. Non ho niente a che fare con il doping. Io per vincere non ho bisogno del doping, ma delle salite".
La vicenda di Marco Pantani, ancora sotto inchiesta giudiziaria, è uno dei tanti episodi spiacevoli nei quali viene sostenuto che l’atleta abbia fatto uso di sostanze dopanti come l’EPO (eritropoietina).
Tuttavia, va osservato che era uso in quel periodo per gli atleti utilizzare sostanze illegali nelle competizioni sportive al fine di diminuire la sensazione di fatica.
Secondo alcuni studi, già nel 1879 i ciclisti usavano la caffeina, zucchero disciolto in etere ed altre bevande a base di alcool e di nitroglicerina, al fine di aumentare la portata cardiaca, vista l’attività coronarodilatatrice stimolata dalle succitate sostanze.
Successivamente, nei primi decenni del Novecento gli stimolanti maggiormente utilizzati dai ciclisti per ridurre la sensazione di fatica erano gli estratti di coca, bevande a base di solfato di stricnina o, addirittura, iniezioni di canfora.
Nel secondo dopoguerra, poi, si diffuse l’amfetamina, un farmaco con proprietà anoressizzanti e psicostimolanti, allora non considerata una pratica eticamente scorretta dall’UCI, nonostante sia stata oggetto di numerosi scandali nel ciclismo.
Nel 1960, il ciclista danese Kunt Jensen, per esempio, ebbe un collasso e morì ai Giochi Olimpici di Roma durante la prova a squadre in seguito all’ingestione di amfetamine e di acido nicotinico.
Il caso più eclatante accadde nel 1967, quando tutto il mondo assistette in diretta alla morte del ciclista britannico Tom Simpson sulle Mont Ventoux, durante una tappa del Tour de France e nelle sue tasche vennero rinvenute delle confezioni di amfetamine.
Dopo quella tragedia, l’ UCI insieme alla Wada (Agenzia Mondiale Antidoping) hanno fatto una vera e propria guerra al doping e ai corridori che barano usando le sostanze dopanti ponendo i controlli antidoping come regola nel ciclismo.
Il primo grande scandalo di doping nel ciclismo scoperto grazie ai controlli antidoping avvenne al Giro d’Italia del 1969 quando Eddy Merckx, saldamente in maglia rosa, venne fermato e squalificato per positività alla fencamfamina, un blando stimolante del sistema nervoso principalmente usato contro narcolessia e fatica cronica.
Negli anni Settanta vennero impiegati i farmaci steroidi e corticoidi, i quali, agendo su muscoli e tessuti connettivi, aumentavano la forza e riducevano i tempi di recupero.
Altre sostanze dopanti maggiormente usate in questi anni sono l’ Etilefrina e l’ Efedrina, degli stimolanti che aiutano a ridurre la fatica e aumentare la resistenza.
Nel medesimo periodo furono utilizzati , invece, l’Andriol (contenente testosterone), il Gonasi, il Winstrol e l’Actraprid (contenente insulina umana) per aumentare la velocità.
Durante gli anni Ottanta si scoprirono le proprietà “sportive” dell’Eritropoietina (EPO), usata sia da ciclisti professionisti che amatoriali.
L’EPO è un ormone della crescita glicoproteico prodotto da reni , cervello e fegato per regolare l'eritropoiesi.
Essa viene, tuttora, usata nelle discipline che prevedono un grande sforzo fisico poiché aumenta il livello dei globuli rossi nel sangue e, di conseguenza, incrementa lo scambio d’ossigeno del sangue.
Questo ormone, inoltre, aumenta il picco di forza del 12-15%, accrescendo la resistenza, e migliorando la prestazione in una percentuale stimata attorno al 5%, procurando una resistenza alla fatica davvero incredibile.
Il tipo di Epo più usata è la Cera (Epo di terza generazione), che viene usata solitamente per i pazienti con insufficienza renale; nel 2007 è stata scoperta come sostanza dopante nel ciclismo poiché, essendo una molecola di eritropoietina con una catena proteica molto larga, ha dei tempi più lunghi di permanenza nel sangue e ciò permette di allungare i tempi di somministrazione.
Un caso accertato di ciclista positivo all’EPO è stato Lance Armstrong, vincitore di 7 Tour de France grazie all’utilizzo di questa sostanza dopante.
Ai giorni nostri, queste sostanze nel mondo del ciclismo sono state sostituite parzialmente dai chetoni, utilizzati come integratori nelle bevande che i corridori consumano durante le gare e non.
I chetoni sono dei composti organici prodotti dai reni ogniqualvolta l’apporto di carboidrati dalla dieta scende al di sotto dei 50-60 grammi al giorno per un arco di tempo superiore alle 48 ore.
Essi costituiscono una fonte energetica alternativa ai carboidrati di facile utilizzo per il nostro organismo e sono fondamentali per garantire lo svolgimento di qualsiasi attività fisica, dalla normale deambulazione agli sport più faticosi, quando le riserve energetiche sono carenti.
Nel 2005 è stato sintetizzato per la prima volta un monoestere di chetone brevettato, il ®-3-hydroxybutyl®-3- hydroxybutyrate, il quale è in grado di riprodurre velocemente uno stato di chetosi simile a quello del digiuno prolungato.
Questa molecola, assunta per via orale, viene rapidamente assorbita e convertita in beta-idrossibutirrato e acetoacetato (corpi chetonici), raggiungendo il suo picco massimo nel sangue entro 2-3 ore dalla sua assunzione, per poi rientrare nei normali valori dopo 8-10 ore.
Ciò permetterebbe, quindi, di fornire una super carica al nostro corpo durante la performance sportiva, poiché i chetoni possiedono una maggiore efficienza metabolica rispetto al glucosio, fornendo più energia rispetto a quest’ ultimo in rapporto allo stesso quantitativo di ossigeno consumato.
Il numero uno dell’agenzia antidoping Herman Ram ha ammonito la Jumbo-Visma (team che conta, tra gli altri, ciclisti del calibro di Doumulin, Roglic e Kruijswijk) sull’utilizzo dei chetoni, non tanto in quanto sostanze dopanti (non sono inseriti nella lista nera dei prodotti proibiti), quanto perché sono ancora sconosciuti gli effetti sulla salute.
Riguardo a questa decisione si deve esprimere l’UCI, mentre la WADA ha affermato che i chetoni non figurano tra le sostanze messe al bando e neppure tra quelle sotto monitoraggio, quindi il loro utilizzo non è proibito.
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