Contesto generale La novella di Cisti il fornaio è la seconda della sesta giornata del Decameron di Boccaccio. In questa giornata, tutte le novelle hanno un tema comune: il modo elegante e intelligente (con arte e garbo) con cui i personaggi riescono a rispondere a situazioni difficili, spesso grazie all’arguzia, alla prontezza di spirito o all’uso sapiente delle parole (i cosiddetti “motti”). La narratrice è Pampinea, una delle sette giovani protagoniste del Decameron, che introduce la novella con una riflessione: a volte la natura e la fortuna premiano persone di umili origini, dotandole di un'anima nobile e virtuosa, proprio come accade a Cisti. Trama in breve Cisti è un fornaio fiorentino, quindi un uomo del popolo, ma di grande eleganza, educazione e intelligenza. Egli possiede un ottimo vino bianco, che desidera offrire a Geri Spina, un nobile fiorentino che ogni giorno passa davanti alla sua bottega insieme agli ambasciatori di papa Bonifacio VIII. Cisti però sa che, ...
Testo
Nel campo mezzo grigio e mezzo neroresta un aratro senza buoi che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.
E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene:
Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese,
quando partisti, come son rimasta,
come l’aratro in mezzo alla maggese.
Analisi e commento
Lavandare è un madrigale, ossia un componimento metrico breve a sfondo pastorale, scritto da Giovanni Pascoli ed appartenente alla raccolta Myricae.
In questa raccolta l'autore parla della natura che ci circonda, la campagna e gli oggetti quotidiani, osservandoli con lo stupore e la meraviglia di un bambino.
Essa incorpora componimenti brevi e lineari che illustrano quadretti di vita campestre che, circondandosi di un alone di mistero, evocano l'idea della morte.
Questa caratteristica è presente in Lavandare, nella quale emergono i temi ricorrenti nelle poesie di Pascoli: l'abbandono e la solitudine.
Il lessico e la sintassi utilizzati nella poesia sono elementari e quotidiani a differenza della struttura fonica che è elaborata e complessa.
Nella prima terzina il poeta descrive, ricorrendo all'allitterazione delle lettere o, z, m("nel campo mezzo grigio e mezzo nero") e l'enjambement nei versi 2 e 3 ("resta un aratro senza buoi, che pare dimenticato, tra il vapor leggero"), l'immagine di un campo parte grigio, incolto, e parte nero, dove è stato arato.
Il poeta, in modo misterioso, pone l’attenzione sull'aratro apparentemente dimenticato, senza buoi, immerso nella leggera nebbia del mattino (v. 3).
Nella seconda terzina il poeta si sofferma sullo “sciabordare", verbo che svolge la funzione nel verso 5 di onomatopea ("lo sciabordare delle lavandare"), delle lavandaie che sciacquano i panni nell'acqua, mentre, per allietare la fatica, intonano un canto triste, tipico stornello marchigiano.
Nella quartina, invece, il poeta evidenzia lo stato d'animo della donna dell'uomo.
L'amarezza è profonda e il paesaggio si uniforma alla sofferenza della donna che attende, con angoscia, il ritorno del marito al paese (v. 9 : “e tu non torni ancora al tuo paese!”).
L'attesa è lunga e dura.
È passato, infatti, l'autunno, l'inverno (v. 7: "Il vento soffia e nevica la frasca"), mentre non la abbandonano la solitudine e l'angoscia.
Il poeta riassume questa situazione mesta attraverso una similitudine : "come l'aratro in mezzo alla maggese"(v. 10).
In questa poesia, i sentimenti della donna vengono analizzati insieme agli oggetti utilizzati nella vita quotidiana.
Essi incidono profondamente sulle persone come tutti quegli eventi misteriosi che sconvolgono la vita.
Tali sentimenti negativi vengono ulteriormente ad aggravarsi in quanto a doverli sopportare è il fanciullino che è debole, sprovveduto, indifeso ed è dentro ognuno di noi.
Questo madrigale, di versi endecasillabi con rime incatenate, presenta una struttura circolare: l'immagine dell'aratro immerso nel campo incolto apre la poesia (“ Nel campo mezzo grigio e mezzo nero/ resta un aratro senza buoi,…”) per poi chiuderla nel verso 10 (“ come l'aratro in mezzo alla maggese") assurgendo a simbolo dell’abbandono e della nostalgia.
Le rime interne presenti nella poesia sono "dimenticato"-"cadenzato" (vv. 3-4) e "sciabordare"-"lavandare" (v. 5).
Altra figura metrica è il chiasmo presente nei vv. 6-7 : "Con tonfi spessi e lunghe cantilene / il vento soffia e nevica la frasca".
Come in tutte le poesie di G. Pascoli, è presente un forte fonosimbolismo, ossia i termini vengono utilizzati per la risonanza emotiva che riesce a evocare nella sfera personale del lettore.
I simboli descritti nella poesia, quindi, vengono trasmessi al lettore attraverso suoni ottenuti dalle figure foniche come l' allitterazione delle consonanti " r, c, t, s ", l'onomatopea "sciabordare".
In questo modo, il poeta stimola le percezioni visive, uditive e tattili del lettore.
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