“Dubliners” is a collection of fifteen short stories written by James Joyce in which the author analyses the failure of self-realisation of inhabitants of Dublin in biographical and in psychological ways. The novel was originally turned down by publishers because they considered it immoral for its portrait of the Irish city. Joyce treats in “Dubliners” the paralysis of will in four stages: childhood, youth, maturity and public life. The paralysis of will is the courage and self-knowledge that leads ordinary men and women to accept the limitations imposed by the social context they live in. In “Dubliners” the style is both realistic - to the degree of perfectly recreating characters and idioms of contemporary Dublin - and symbolic – giving the common object unforeseen depth and a new meaning in order to show a new view of reality. Joyce defines this effect “epiphany” which indicates that moment when a simple fact suddenly explodes with meaning and makes a person realise his / her condi
Tema sulle poesie di Giovan Battista Marino. “Donna che cuce”, “Seno”, “Rete d’oro in testa della sua donna”
Giovan
Battista Marino è ritenuto uno dei massimi esponenti della poesia barocca,
celebre non solo in Italia, ma anche in Europa.
Egli si dedica all’attività letteraria fin da giovane, godendo soprattutto dell’appoggio di molti potenti. La sua opera principale è “Adone” del 1623; tra le opere minori più conosciute, invece, si evidenzia “Lira” del 1608.
Il madrigale di 10 versi “Donna che cuce” descrive una donna mentre ricama.
Ella passa l’ago nel tessuto come se scoccasse una freccia, in quanto, è una tessitrice che provoca sentimenti. Il poeta è incantato, rapito dal modo in cui la donna decora e ricama la tela.
I suoi sentimenti sono tutti per lei che, con quell’ago, arriva al suo cuore, sollecitandolo con “mille punte”. Egli descrive, attraverso dei giochi di parole (verso 8: “Tronca, annoda, assottiglia, attorce e gira”), la rara abilità della donna di tagliare, assottigliare e attorcigliare il suo cuore pari, addirittura, ad Aracne (verso 3: “quel ch’opra in suo lavoro, nova Aracne d’amor, colei ch’adoro …”).
È così affascinante osservarla mentre ricama la tela che il poeta paragona il filo rosso al filo della sua vita (versi 6-9/10: “… e quel sì vago sanguigno fil che tira … la bella man gradita, è il fil de la mia vita”). In questo modo, la donna lo rapisce e lo conquista.
Nel componimento “Rete d’oro in testa della sua donna” descrive, invece, una rete immaginaria, realizzata con i bei capelli biondi di una donna, sempre per catturare il cuore del poeta.
Il tema dei capelli biondi è ritornante fin da Petrarca; infatti, mentre il poeta aretino idealizzava questo tema nell’immagine femminile, ritenendolo parte integrante dell’estetica della protagonista della poesia, per Marino, invece, la figura femminile rimane sfumata.
Si evidenziano nella poesia, infatti, solo i suoi capelli e la reticella che li copre. La descrizione si riduce ad una serie di particolari slegati che non si ricompongono per creare un’identità femminile completa.
Le poesie di Marino, in realtà, sono prive di ogni sensualismo poiché il poeta, essenzialmente, compie una ricerca limitata ai particolari fisici e naturali, dai quali non scaturisce in lui alcun turbamento o emozione.
In quest’opera l’autore si pone come obbiettivo la realizzazione di un concetto astratto, un gioco ingegnoso, acuto come quello della fusione della rete reale e quella metaforica della reticella d’oro che cattura il cuore del poeta.
Quindi, ritorna il concetto presente nell’abile tessitrice della “Donna che cuce”: la donna viene paragonata , prima, ad Aracne del mito greco e, poi, a Parca (dea tutelare della nascita, stabiliva i destino degli uomini) perché, come la seconda, la donna ha in pugno con il filo rosso il destino del poeta.
Anche nella poesia “Seno” viene esaltata la donna che, in questo caso, è una mamma che allatta con il suo bianco seno il suo neonato.
Il poeta, con discrezione, osserva la carica di amore con la quale la mamma trasmette vitalità al neonato.
Prevale il candore che va dal bianco latte del seno alla bianca neve, la quale rimane intatta in quanto viene “attraversata senza che le orme possano disfarla”.
È imperativo il “Vattene!” (verso 9) con il quale il poeta si rivolge al momento in cui, con passi audaci, “ci si arrischia a toccare l’ultima meta” (versi 9-11), ossia la morte. In questo caso, il poeta, abilmente, dà dei suggerimenti: raccogliere la luce ed il calore del Sole, essere cultore della gioia e godere in silenzio.
Con questo stato d’animo, il poeta si sente ispirato e sempre più vicino al Creatore, inebriato in un’immensità di pace.
Ugualmente esalta il candore di quel seno dal quale scorre quel latte che è uguale alla via che conduce in Paradiso; infatti, il poeta afferma che non c’è desiderio più grande che poter baciare questa fonte di vita, volare leggero e veloce sulle “alpi bianche” come l’avorio e percorrere la neve con “strali di fuoco” tanto da confondere fiocchi di neve e fiamme.
È evidente che il filo conduttore di queste poesie è il descrivere una semplice scena di vita quotidiana colta, però, minuziosamente in tutti i suoi particolari.
Spesso il poeta riscatta il motivo umile con riferimenti al mito. Questa contaminazione, molto frequente, non produce, però, né tensione né ironia.
Il gioco dei suoni e dei significati nelle poesie di Marino è ricco ed intenso che evidenziano ulteriormente l’abilità fuori dal comune del poeta. Il gioco dei suoni, tuttavia, non è fine a se stesso ma resta fondamentale per rimarcare un’azione o un comportamento, senza alcuna partecipazione emotiva.
Egli si dedica all’attività letteraria fin da giovane, godendo soprattutto dell’appoggio di molti potenti. La sua opera principale è “Adone” del 1623; tra le opere minori più conosciute, invece, si evidenzia “Lira” del 1608.
Il madrigale di 10 versi “Donna che cuce” descrive una donna mentre ricama.
Ella passa l’ago nel tessuto come se scoccasse una freccia, in quanto, è una tessitrice che provoca sentimenti. Il poeta è incantato, rapito dal modo in cui la donna decora e ricama la tela.
I suoi sentimenti sono tutti per lei che, con quell’ago, arriva al suo cuore, sollecitandolo con “mille punte”. Egli descrive, attraverso dei giochi di parole (verso 8: “Tronca, annoda, assottiglia, attorce e gira”), la rara abilità della donna di tagliare, assottigliare e attorcigliare il suo cuore pari, addirittura, ad Aracne (verso 3: “quel ch’opra in suo lavoro, nova Aracne d’amor, colei ch’adoro …”).
È così affascinante osservarla mentre ricama la tela che il poeta paragona il filo rosso al filo della sua vita (versi 6-9/10: “… e quel sì vago sanguigno fil che tira … la bella man gradita, è il fil de la mia vita”). In questo modo, la donna lo rapisce e lo conquista.
Nel componimento “Rete d’oro in testa della sua donna” descrive, invece, una rete immaginaria, realizzata con i bei capelli biondi di una donna, sempre per catturare il cuore del poeta.
Il tema dei capelli biondi è ritornante fin da Petrarca; infatti, mentre il poeta aretino idealizzava questo tema nell’immagine femminile, ritenendolo parte integrante dell’estetica della protagonista della poesia, per Marino, invece, la figura femminile rimane sfumata.
Si evidenziano nella poesia, infatti, solo i suoi capelli e la reticella che li copre. La descrizione si riduce ad una serie di particolari slegati che non si ricompongono per creare un’identità femminile completa.
Le poesie di Marino, in realtà, sono prive di ogni sensualismo poiché il poeta, essenzialmente, compie una ricerca limitata ai particolari fisici e naturali, dai quali non scaturisce in lui alcun turbamento o emozione.
In quest’opera l’autore si pone come obbiettivo la realizzazione di un concetto astratto, un gioco ingegnoso, acuto come quello della fusione della rete reale e quella metaforica della reticella d’oro che cattura il cuore del poeta.
Quindi, ritorna il concetto presente nell’abile tessitrice della “Donna che cuce”: la donna viene paragonata , prima, ad Aracne del mito greco e, poi, a Parca (dea tutelare della nascita, stabiliva i destino degli uomini) perché, come la seconda, la donna ha in pugno con il filo rosso il destino del poeta.
Anche nella poesia “Seno” viene esaltata la donna che, in questo caso, è una mamma che allatta con il suo bianco seno il suo neonato.
Il poeta, con discrezione, osserva la carica di amore con la quale la mamma trasmette vitalità al neonato.
Prevale il candore che va dal bianco latte del seno alla bianca neve, la quale rimane intatta in quanto viene “attraversata senza che le orme possano disfarla”.
È imperativo il “Vattene!” (verso 9) con il quale il poeta si rivolge al momento in cui, con passi audaci, “ci si arrischia a toccare l’ultima meta” (versi 9-11), ossia la morte. In questo caso, il poeta, abilmente, dà dei suggerimenti: raccogliere la luce ed il calore del Sole, essere cultore della gioia e godere in silenzio.
Con questo stato d’animo, il poeta si sente ispirato e sempre più vicino al Creatore, inebriato in un’immensità di pace.
Ugualmente esalta il candore di quel seno dal quale scorre quel latte che è uguale alla via che conduce in Paradiso; infatti, il poeta afferma che non c’è desiderio più grande che poter baciare questa fonte di vita, volare leggero e veloce sulle “alpi bianche” come l’avorio e percorrere la neve con “strali di fuoco” tanto da confondere fiocchi di neve e fiamme.
È evidente che il filo conduttore di queste poesie è il descrivere una semplice scena di vita quotidiana colta, però, minuziosamente in tutti i suoi particolari.
Spesso il poeta riscatta il motivo umile con riferimenti al mito. Questa contaminazione, molto frequente, non produce, però, né tensione né ironia.
Il gioco dei suoni e dei significati nelle poesie di Marino è ricco ed intenso che evidenziano ulteriormente l’abilità fuori dal comune del poeta. Il gioco dei suoni, tuttavia, non è fine a se stesso ma resta fondamentale per rimarcare un’azione o un comportamento, senza alcuna partecipazione emotiva.
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