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Dubliners by J.Joyce (riferimento a 'Eveline' e 'The dead')

“Dubliners” is a collection of fifteen short stories written by James Joyce in which the author analyses the failure of self-realisation of inhabitants of Dublin in biographical and in psychological ways. The novel was originally turned down by publishers because they considered it immoral for its portrait of the Irish city. Joyce treats in “Dubliners” the paralysis of will in four stages: childhood, youth, maturity and public life. The paralysis of will is the courage and self-knowledge that leads ordinary men and women to accept the limitations imposed by the social context they live in. In “Dubliners” the style is both realistic - to the degree of perfectly recreating characters and idioms of contemporary Dublin - and symbolic – giving the common object unforeseen depth and a new meaning in order to show a new view of reality. Joyce defines this effect “epiphany” which indicates that moment when a simple fact suddenly explodes with meaning and makes a person realise his / her condi

Dei Sepolcri di Ugo Foscolo

Introduzione all'opera

Ugo Foscolo è considerato uno dei più importanti intellettuali italiani a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento, in quanto è riuscito a coniugare nelle sue opere elementi di natura neoclassica con caratteristiche che faranno, poi, parte del movimento romantico.

La sua personalità irrequieta, come egli stesso afferma nel sonetto autoritratto “Solcata ho la fronte”, scaturisce dalla continua ricerca di un armonioso equilibrio interiore e, allo stesso tempo, da un sistematico scontro violento con una realtà difficile, come era, in effetti, la sua epoca storica.

Questa lacerante conflittualità, fulcro del pensiero foscoliano, riesce a prevalere sulla compostezza e sull’equilibrio neoclassici.

Essa è particolarmente ricorrente nel poema “Le Grazie” tutte le volte che si cerca di proporre un’immagine armonica del mondo, basato su regole autorevoli ed autoritarie come l’isola di Atlantide.

A questo contrasto si aggiunge l’eredità del materialismo settecentesco, la quale cerca di convivere con i valori ideali e spirituali ricercati dalla nuova sensibilità romantica.

Il conflitto tra l’io ed il mondo esterno si identifica principalmente nei protagonisti delle opere giovanili del poeta.

Essi, infatti, agiscono attivamente nella vita politica per diventare gli artefici della Storia.

È evidente che un’aspirazione così intensa porta i personaggi ad una profonda crisi esistenziale, caratterizzata dalla disillusione fino al suicidio degli stessi.

È proprio per contrastare questa crisi esistenziale che Foscolo crea una nuova religione, la “religione delle illusioni”, della quale si fa custode e sacerdote.

Secondo il poeta, l’uomo può motivare la propria esistenza lasciando un segno concreto di sé sulla Terra se fa costante riferimento ai valori universali che la Ragione rinnega, mentre il sentimento li reclama (patria, amore, poesia, eternità).

Questi valori = illusioni si devono, tuttavia, relazionare con il contesto storico nel quale operano i personaggi foscoliani, particolarmente nella militanza di patriota.

Dopo la morte, i valori che l’uomo ha perseguito in vita sopravvivono nella memoria dei suoi congiunti, i quali si recheranno a visitare il sepolcro e ricorderanno le sue imprese.

La tomba, così, diventa il punto di incontro tra morti e vivi, creando tra loro la “corrispondenza di amorosi sensi” che, dallo stesso Foscolo, viene definita una “dote divina” insita nell’animo umano.

Questo valore verrà trattato dal poeta nella sua opera più importante: “Dei Sepolcri” (o “Sepolcri”).


Editto di Saint-CloudEditto napoleonico di Saint-Cloud

La genesi dell'opera

Essa è stata scritta in pochi mesi tra l’estate e l’autunno del 1806 ed, in seguito, pubblicata nel 1807 presso Niccolò Bettoni, mentre il poeta era ospite della contessa Marzia Provaglio Martinengo a Brescia.

Alcuni critici sostengono che l’idea di scrivere “Dei Sepolcri” sia scaturita da una discussione avuta nel salotto veneziano di Isabella Teotochi Albrizzi con il letterato Ippolito Pindemonte, destinatario del carme ed autore del poema “I cimiteri”.

L’ oggetto della conversazione era l’entrata in vigore dell’editto napoleonico di Saint-Cloud.
Quest’ultimo proibiva, per ragioni igieniche, le sepolture nei centri abitati e, in base, poi, ai principi egualitari dell’Illuminismo, prevedeva la realizzazione di lapidi uguali per tutti i defunti, indipendentemente dal ceto sociale di appartenenza.

Il carme si inserisce nel filone della poesia sepolcrale, secondo una sensibilità diffusa nella cultura preromantica europea, soprattutto quella inglese.

I versi 48-50 (“[…] ma la sua polve lascia alle ortiche di deserta gleba ove né donna innamorata preghi, né passeggier solingo oda il sospiro che dal tumulo a noi manda Natura.”) richiamano, infatti, una delle più famose poesie sepolcrali: l’ “Elegia scritta in un cimitero di campagna” di Thomas Gray.


La struttura dell'opera

Foscolo adotta nei “Sepolcri” la forma aperta del poema breve.
L'opera, caratterizzata da 295 versi endecasillabi sciolti, è composta da quattro sezioni:
  • Prima sezione (versi 1-90): inizia con l’iscrizione “A Ippolito Pindemonte Deorum Manium Iura Sancta Sunto. Duodecim Tabulae” (“A Ippolito Pindemonte. I diritti dei defunti siano sacri. Decima tavola”), tratta da una citazione latina del “De legibus” di Cicerone.  Con questa opera, Foscolo vuole introdurre il lettore alla conoscenza della nuova materia che tratterà nel carme, ossia la sepoltura e la sua importanza per i vivi, inizialmente secondo una prospettiva laica e materialistica della vita dell’uomo;
  • Seconda sezione (versi 91-150): tratta la funzione civilizzatrice e storica della sepoltura. L'autore descrive con minuziosità come si è manifestato il culto della tomba nel corso dei secoli, criticando l’Editto di Saint-Cloud;
  • Terza sezione (versi 151-212): Foscolo affronta l’importanza civile delle tombe, facendo riferimento alle sepolture dei “grandi uomini”, conservate nella Basilica di Santa Croce a Firenze;
  • Quarta sezione (versi 213-295): l’autore tratta l’importanza della poesia sostenendo che, come i sepolcri favoriscono il ricordo dei defunti, essa è custode della memoria e fonte ispiratrice per i vivi.

La prima sezione

Nella prima sezione dei “Sepolcri” si evidenzia la visione materialistica della vita umana e della natura, una costante del pensiero foscoliano.

La natura è considerata come una macchina che divora se stessa e le proprie creature, condannandole all’oblio, rigenerandosi, mentre il tempo porta con sé l’uomo, le sue ultime tracce e ciò che resta del nostro mondo svilendo la funzione del sepolcro (versi 17-22:” […] e involve/tutte cose l’obblio nella sua notte;/e una forza operosa le affatica/di moto in moto; e l’uomo e le sue tombe/e l’estreme sembianze e le reliquie/della terra e del ciel traveste il tempo.”).

Foscolo nel verso 23, allora, contrappone a questa immagine una visione sentimentale, affermando che l’uomo può sopravvivere anche sottoterra, in assenza della luce del Sole, solo se egli riesce a suscitare il suo ricordo nella mente dei suoi cari, i quali gli dedicheranno amorevoli attenzioni (versi 23-29: “Ma perché pria del tempo a sé il mortale/invidierà l’illusïon che spento/pur lo sofferma al limitar di Dite?/Non vive ei forse anche sotterra, quando/gli sarà muta l’armonia del giorno,/se può destarla con soavi cure/nella mente de’ suoi?”).

In questo modo, si instaura la cosiddetta “corrispondenza di amorosi sensi”, considerata una “celeste dote” che si prolunga al di là della morte.

Colui che, invece, non lascia alcuna “eredità affettiva” non sopravvive al “sonno della morte” e, mentre il suo spirito vaga nell’Inferno (“ ’l compianto de’ templi Acherontei”) o cerca rifugio in Purgatorio (“o ricovrarsi sotto le grandi ale/del perdono d’Iddio”) lascia le sue ossa alle ortiche di una terra abbandonata, luogo al quale non accederanno né una donna innamorata né un viandante solitario.

L’Editto napoleonico di Saint-Cloud (“nuova legge”) impone che i sepolcri vengano realizzati lontano dai centri abitati (“fuor de’ guardi pietosi”) e, soprattutto, toglie ai defunti la possibilità di riportare il loro nome sulla lapide di marmo.

Di questa legge, rimane vittima il grande intellettuale Giuseppe Parini.

Foscolo immagina Talia, la Musa della satira, vagare nel cimitero alla ricerca del corpo del suo “sacerdote”, in quanto la città di Milano, “lasciva d’evirati cantori allettatrice”, non ha onorato l’intellettuale destinandolo ad una fossa comune, dove le sue ossa sono mescolate a quelle di un ladro che ha scontato i suoi crimini sul patibolo e la sua tomba non potrà suscitare il ricordo dei suoi sostenitori.

Particolarmente amareggiato, Foscolo descrive uno scenario notturno e lugubre (una cagna randagia che si muove raminga tra le tombe, un’upupa che svolazza fra le croci sparse nel cimitero, un teschio, la luna) comunicando al lettore la grande ingiustizia che Parini ha subìto, nonostante abbia lasciato una grande eredità culturale e morale.

Egli conclude la prima sezione affermando che una tomba deve essere necessariamente lacrimata ed onorata, altrimenti il defunto non si garantisce l’eterno ricordo dei vivi.

L’ esperienza di Parini segna il passaggio al tema civile, trattato nella seconda sezione.

Giuseppe Parini Giuseppe Parini

La seconda sezione

Nella seconda sezione, Foscolo afferma l’importanza storica che assunsero istituzioni come la famiglia con il matrimonio, le funzioni religiose, le leggi e il culto dei morti nell’evoluzione dei popoli.

Gli uomini primitivi, in effetti, avevano iniziato ad istituire queste forme legali, sottraendo agli agenti atmosferici e agli animali selvatici i defunti seppellendoli e consacrando il culto della tomba.

Inizialmente, i morti venivano seppelliti nelle cripte al di sotto del pavimento delle chiese, dalle quali si diffondeva il fetore dei cadaveri che, mescolato all’incenso, accompagnava i fedeli durante la preghiera.

Nel Medioevo, considerato da Foscolo un periodo di decadenza, le pareti dei sepolcri e delle chiese erano riempite da immagini di scheletri.

Le madri, allora, erano terrorizzate e coprivano il capo dei loro figli perché pensavano che, durante il sonno, i congiunti defunti potessero spaventarli e chiedere la preghiera a pagamento (“venal prece”), unico modo per alleviare le loro pene ultraterrene.

A questa drammatica immagine, l’autore, con l’uso nel verso 114 della congiunzione “ma”, contrappone una descrizione luminosa del culto dei morti in età classica (“Ma cipressi e cedri/di puri effluvj i zefiri impregnando/perenne verde protendean su l’urne/per memoria perenne…”).

In questo periodo le tombe venivano curate con cipressi, cedri e fiori che impregnavano l’aria di puri profumi e, accanto, vi erano dei vasi preziosi che accoglievano le lacrime offerte in voto dalle persone care, le quali, quando potevano, si recavano lì per raccontare le proprie pene ai defunti.

L’autore precisa anche che nei cimiteri inglesi, le donne pregavano le divinità protettrici della patria affinché Horatio Nelson potesse tornare in Inghilterra; infatti, l’ammiraglio inglese sconfisse le flotte francesi nel 1805 durante la battaglia di Trafalgar.

Pertanto, Foscolo conferisce alla tomba un significato patriottico poiché Nelson, nel combattere per la propria patria, ha trovato nella guerra la morte.

Con l’ausilio della congiunzione “ma”, al verso 137 il poeta antepone alla bara del valoroso ammiraglio, costruita con l’albero maestro di una nave nemica, la manifestazione dello sfarzo e del prestigio dei signori con la costruzione di tombe e di mausolei di marmo, che dominano nei cimiteri del “bello italo regno”, un Paese dove ormai “dorme il furor d’inclite geste”, la società è governata dalla ricchezza e dal vile opportunismo (“Ma ove dorme il furor d’inclite geste/e sien ministri al vivere civile/l’opulenza e il tremore, inutil pompa/e inaugurate immagini dell’Orco/sorgon cippi e marmorei monumenti).

Nei versi 142-150, invece, è evidente l’opera di denuncia sociale e politica di Foscolo: gli intellettuali, i dotti ed i mercanti (“il patrizio vulgo”), pur essendo vivi, sono sepolti nei sontuosi palazzi e sfoggiano un’opulenza dovuta soltanto all’appartenenza ad un ceto sociale agiato (“Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo, /decoro e mente al bello italo regno, /nelle adulate reggie ha sepoltura/già vivo, e i stemmi unica laude”).

Foscolo, invece, desidera di trovare nella morte un rifugio tranquillo (la cosiddetta “fatal quïete” - “Alla sera”) in cui la sorte cessa di perseguitarlo.

La morte diventa, allo stesso tempo, il momento in cui gli amici possono raccogliere non ricchezze materiali, ma una poesia che parli di libertà, dignità e sentimenti appassionati (“[…] A noi morte apparecchi riposato albergo/ ove una volta la fortuna cessi dalle vendette, e l’amistà raccolga/non di tesori eredità, ma caldi/sensi e di liberal carme l’esempio.”).

La denuncia della società italiana e le sue criticità introducono la terza sezione del carme, nella quale sono descritti i grandi uomini del passato e le relative sepolture, conservate nella Basilica di Santa Croce a Firenze.

La terza sezione

Tomba dell'ammiraglio inglese Horatio Nelson, conservata nella cattedrale di San Paolo, Londra

Rivolgendosi a Pindemonte, Foscolo approfondisce nella terza sezione l’importanza civile delle tombe affermando che i sepolcri dei grandi uomini (“l’urne de’ forti”) sono di esempio per i vivi e rendono “e bella e santa” la terra che li ospita.

Un esempio significativo è la Basilica di Santa Croce a Firenze.

In questo edificio religioso, il poeta vede le tombe dei grandi del pensiero, dell’arte e della scienza e si sofferma a ricordarne le opere.

  •  Machiavelli: parlando di politica attraverso “Il Principe”, ha smascherato l’orrore del potere tirannico (“svela di che lagrime grondi e di che sangue”);
  • Michelangelo: ha costruito un Olimpo agli dei a Roma (la cupola di San Pietro). È da notare che Foscolo, essendo laico, designa elementi cristiani, come la cupola di San Pietro, attraverso elementi pagani, ossia l’Olimpo;
  • Galileo: attraverso lo studio dei pianeti del Sistema Solare, che ruotavano attorno al Sole, permise a Newton di elaborare le leggi della gravitazione universale.

L’intellettuale coglie l'occasione per esaltare Firenze per la sua aria feconda e ricca di vita, per i corsi d’acqua che fluiscono a partire dalle cime dell’Appennino, per i colli popolati dai vigneti e per gli ulivi e le case illuminati dai raggi lunari.

Egli la ritiene, inoltre, la prima città che ascoltò la Commedia dell’esule Dante (“udivi il carme / che allegrò l’ira del Ghibellin fuggiasco”) e diede i genitori e la lingua a Petrarca, il quale rese immortale la lirica erotica greca e latina coprendola di “un velo candidissimo”, quello dei sentimenti, elevandola, così, in senso spirituale.

Altresì, essa è beata perché ha conservato in un solo tempio le spoglie di uomini, forse le uniche, che hanno fatto dell’Italia un Paese glorioso.

Foscolo, però, fa una critica politica in questa sezione sostenendo che l’Italia, con la dominazione straniera, è stata usurpata delle ricchezze, della religione, dei territori, ma non della memoria (versi 180-185: “[…] ma più beata ché in un tempio accolte / serbi l’Itale glorie, uniche forse / da che le mal vietate Alpi e l’alterna /onnipotenza delle umane sorti / armi e sostanze t’invadeano ed are /e patria e, tranne la memoria, tutto.”).

Il poeta, tuttavia, contrappone a questo sdegno una nota di speranza, quella che le tombe di questi grandi uomini possano stimolare le persone coraggiose e virtuose a continuare la loro opera.

Lo stesso Vittorio Alfieri, come lo stesso Foscolo ci ricorda, visitando le tombe conservate nella Basilica di Santa Croce a Firenze, ne ha tratto insegnamento ed ispirazione.

Egli, prossimo alla morte, vagava solitario lungo l’Arno, guardando i campi e il cielo per dare conforto alla sua anima, tormentata dal periodo di decadenza in cui riversava la propria Patria.

Foscolo riferisce che Alfieri era solito soffermarsi tra le tombe della Basilica, in cerca di speranza ed ha avuto il privilegio di essere sepolto in quell’edificio religioso fra i grandi del passato.

Con repentino passaggio, negli ultimi versi della terza sezione Foscolo stabilisce un paragone fra il significato di Santa Croce per gli italiani ed il significato di Maratona per i Greci, dove gli ateniesi caduti in battaglia contro i Persiani furono seppelliti (versi 197-201: “[…] Ah sì! da quella / religiosa pace un Nume parla:/ e nutrìa contro a’ Persi in Maratona/ ove Atene sacrò tombe a’ suoi prodi, / la virtù greca e l’ira.”)

Successivamente, descrive un’atmosfera lugubre, tipica del Preromanticismo inglese.

Con un ritmo incalzante ed un lessico solenne e foneticamente aspro, Foscolo descrive, avendo come fonte gli scritti del geografo e militare greco Pausania, la battaglia contro i Persiani dove si vedono scintille di elmi e di spade, il fuoco e il fumo proveniente dalle pire usate per bruciare i cadaveri, i fantasmi di guerrieri, e si odono il tumulto delle falangi, le trombe militari, i pianti e il canto delle Parche.

Vittorio Alfieri Vittorio Alfieri

La quarta sezione

Nella quarta sezione, all’inizio, il poeta afferma che i paesaggi naturali, come le tombe, serbano la memoria degli eventi passati, ovviamente, per colui che sappia osservarli e interrogarli.

Egli ritiene, pertanto, fortunato l’amico Pindemonte che, attraversando il Mar Egeo, ha sentito raccontare che la marea aveva trasportato le armi gloriose di Achille, rubate da Ulisse, nel promontorio Retèo, nel Bosforo, vicino alla tomba di Ajace, il quale per l’ira e per la vergogna dell’affronto subìto si uccise.

Foscolo nei versi 220-221 afferma il valore morale della morte: essa ricompensa tutte le ingiustizie subite in vita (“a’ generosi/ giusta di glorie dispensiera è morte”).

L’ intellettuale, costretto a vivere la condizione di esule, spera che un giorno le Muse, che attraverso il loro canto conservano la memoria dei defunti anche quando il “reo tempo” (“Alla sera” verso 10) distrugge le loro tombe, lo chiamino a celebrare i grandi eroi del passato affinché siano un modello per gli uomini.

Foscolo, nei versi successivi, esprime la tensione dell’uomo nei confronti della morte e della sua sopravvivenza ai posteri attraverso il racconto della ninfa Elettra; ella, infatti, amata da Zeus, in punto di morte pregò e ottenne dal padre degli dei di vivere nel ricordo dei posteri.

Si racconta che sul luogo della sua sepoltura sorse la città di Troia, due volte rasa al suolo e due volte riedificata, fino a quando non fu definitivamente distrutta dai Greci, come aveva predetto Cassandra.

Quest’ultima, a sua volta, come si legge nel carme, pregò che le palme e i cipressi, piantati dalle nuore di Priamo e cresciuti con le lacrime delle vedove, proteggessero i sepolcri dei troiani caduti fino al giorno in cui un “mendico cieco”, Omero, vi si sarebbe recato per abbracciare ed interrogare sulla loro storia i monumenti funebri.

Omero, ispirato, renderà eterna la loro memoria raccontando con il suo canto la grandezza di Troia, celebrando il successo dei vincitori e rendendo onore agli sconfitti, come Ettore, finché “il Sole risplenderà su le sciagure umane” (verso 295).

Le funzioni della poesia e il messaggio dell'opera

Il carme si conclude con uno dei temi più importanti della poetica di Foscolo: la funzione eternatrice della poesia.

Nello specifico, questa tematica è una costante nelle sue opere, che matura gradualmente nel passaggio dalla produzione romanzesca di tono romantico (ad esempio le “Ultime lettere di Jacopo Ortis”) a quella poetica.

Già con l’introduzione della figura di Lorenzo Alderani come destinatario delle lettere e narratore della vita di Jacopo Ortis è sottintesa l’idea che la poesia ed, in generale, la letteratura debba raccontare ed eternare le gesta, anche dolorose e tragiche, di chi ha combattuto per grandi ideali (la Patria, la libertà nazionale, l’amore per Teresa).

Ultime lettere di Jacopo Ortis

Nel romanzo epistolare “Ortis” il ruolo della poesia si mescola con il pessimismo, soprattutto quello esistenziale e storico, visibile particolarmente nella lettera che narra dell’incontro del protagonista con Giuseppe Parini a Milano e in quella successiva del 14 Marzo 1799, nella quale sono manifestate le ragioni che inducono Jacopo al suicidio.

Il ruolo eternante viene svolto dalla poesia anche nelle due odi “A Luigia Pallavicini caduta da cavallo” e “All’amica risanata”.

In particolare, la poesia riesce a eternare in queste odi rispettivamente lo spirito della vita attiva e la bellezza, la fragilità e la sensualità umana elevando una donna mortale a livello di una dea.

La poesia non ha solo una funzione eternante; Foscolo le riconosce ulteriori funzioni.

Nei sonetti “Alla sera” ed “Alla musa”, essa ha il compito di rasserenare l’animo del poeta, angosciato dai gravosi impegni militari ed amareggiato dalle disillusioni amorose, desidera un po’ di pace e di equilibrio, al punto da invocare la Musa , nel caso del secondo sonetto (versi 1-4 “Pur tu copia versavi alma di canto/ su le mie labbra un tempo, Aonia Diva, / quando de’ miei fiorenti anni fuggiva/la stagion prima, /” e versi 7-8 “non udito or t’invoco; ohimè! soltanto/ una favilla del tuo spirto è viva”).

Nel sonetto “A Zacinto”, la poesia assume, invece, una funzione consolatrice poiché Foscolo è consapevole che, a differenza di Ulisse, non potrà mai ritornare nella sua fertile Zacinto.

Egli, destinato dal fato ad una “illacrimata sepoltura” (verso 14), ritiene che l’unica cosa che possa dedicare alla propria terra natale è il suo canto.

La poesia viene esaltata nel suo massimo splendore nel carme “Dei Sepolcri”.

Essa permette, infatti, ai defunti di vivere in eterno nel ricordo non solo dei loro cari, ma di tutti gli uomini.

La precarietà e le illusioni della vita sono, così, vinte dalla poesia, la quale rende immortale l’oggetto del proprio canto e i valori ad esso associati.

Per Foscolo, Ettore, eroe troiano, ha perso la vita nel campo di battaglia per la difesa del proprio onore, della propria famiglia e della propria Patria, ma verrà ricordato insieme agli altri vinti che hanno combattuto per questi ideali fino a quando “il Sole risplenderà su le sciagure umane”.



Il messaggio di questo grande poeta è profondo ed articolato, non sempre facile da attuare; in ogni caso, è ammirevole ed auspicabile che ciascuno di noi si impegni a rendere nobili le proprie azioni proprio per dare prestigio a se stessi e fare di esse degli esempi che possano coinvolgere l’intera umanità.

Ugo Foscolo, la sua produzione letteraria e i suoi valori assumeranno un ruolo importante nell’Ottocento, in quanto gli ideali di amore per la Patria, la libertà e la natura saranno oggetto delle poesie dei poeti romantici.

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