Introduzione all'opera
Ugo Foscolo è considerato uno dei più importanti intellettuali italiani a cavallo
tra il Settecento e l’Ottocento, in quanto è riuscito a coniugare nelle sue
opere elementi di natura neoclassica con caratteristiche che faranno, poi,
parte del movimento romantico.
La sua personalità irrequieta, come egli stesso
afferma nel sonetto autoritratto “Solcata ho la fronte”, scaturisce dalla
continua ricerca di un armonioso equilibrio interiore e, allo stesso tempo, da
un sistematico scontro violento con una realtà difficile, come era, in effetti,
la sua epoca storica.
Questa lacerante conflittualità, fulcro del pensiero
foscoliano, riesce a prevalere sulla compostezza e sull’equilibrio neoclassici.
Essa è particolarmente ricorrente nel poema “Le
Grazie” tutte le volte che si cerca di proporre un’immagine armonica del mondo,
basato su regole autorevoli ed autoritarie come l’isola di Atlantide.
A questo contrasto si aggiunge l’eredità del
materialismo settecentesco, la quale cerca di convivere con i valori ideali e
spirituali ricercati dalla nuova sensibilità romantica.
Il conflitto tra l’io ed il mondo esterno si
identifica principalmente nei protagonisti delle opere giovanili del poeta.
Essi, infatti, agiscono attivamente nella vita
politica per diventare gli artefici della Storia.
È evidente che un’aspirazione così intensa porta i
personaggi ad una profonda crisi esistenziale, caratterizzata dalla disillusione
fino al suicidio degli stessi.
È proprio per contrastare questa crisi esistenziale
che Foscolo crea una nuova religione, la “religione delle illusioni”, della
quale si fa custode e sacerdote.
Secondo il poeta, l’uomo può motivare la propria
esistenza lasciando un segno concreto di sé sulla Terra se fa costante
riferimento ai valori universali che la Ragione rinnega, mentre il sentimento li
reclama (patria, amore, poesia, eternità).
Questi valori = illusioni si devono, tuttavia, relazionare
con il contesto storico nel quale operano i personaggi foscoliani, particolarmente
nella militanza di patriota.
Dopo la morte, i valori che l’uomo ha perseguito in
vita sopravvivono nella memoria dei suoi congiunti, i quali si recheranno a
visitare il sepolcro e ricorderanno le sue imprese.
La tomba, così, diventa il punto di incontro tra
morti e vivi, creando tra loro la “corrispondenza di amorosi sensi” che, dallo
stesso Foscolo, viene definita una “dote divina” insita nell’animo umano.
Questo valore verrà trattato dal poeta nella sua opera più importante: “Dei Sepolcri” (o “Sepolcri”).
La genesi dell'opera
L’ oggetto della conversazione era l’entrata in vigore dell’editto napoleonico di Saint-Cloud.
Quest’ultimo proibiva, per ragioni igieniche, le sepolture nei centri abitati e, in base, poi, ai principi egualitari dell’Illuminismo, prevedeva la realizzazione di lapidi uguali per tutti i defunti, indipendentemente dal ceto sociale di appartenenza.
Il carme si inserisce nel filone della poesia sepolcrale, secondo una sensibilità diffusa nella cultura preromantica europea, soprattutto quella inglese.
I versi 48-50 (“[…] ma la sua polve lascia alle ortiche di deserta gleba ove né donna innamorata preghi, né passeggier solingo oda il sospiro che dal tumulo a noi manda Natura.”) richiamano, infatti, una delle più famose poesie sepolcrali: l’ “Elegia scritta in un cimitero di campagna” di Thomas Gray.
La struttura dell'opera
L'opera, caratterizzata da 295 versi endecasillabi sciolti, è composta da quattro sezioni:
- Prima sezione (versi 1-90): inizia con l’iscrizione “A Ippolito Pindemonte Deorum Manium Iura Sancta Sunto. Duodecim Tabulae” (“A Ippolito Pindemonte. I diritti dei defunti siano sacri. Decima tavola”), tratta da una citazione latina del “De legibus” di Cicerone. Con questa opera, Foscolo vuole introdurre il lettore alla conoscenza della nuova materia che tratterà nel carme, ossia la sepoltura e la sua importanza per i vivi, inizialmente secondo una prospettiva laica e materialistica della vita dell’uomo;
- Seconda sezione (versi 91-150): tratta la funzione civilizzatrice e storica della sepoltura. L'autore descrive con minuziosità come si è manifestato il culto della tomba nel corso dei secoli, criticando l’Editto di Saint-Cloud;
- Terza sezione (versi 151-212): Foscolo affronta l’importanza civile delle tombe, facendo riferimento alle sepolture dei “grandi uomini”, conservate nella Basilica di Santa Croce a Firenze;
- Quarta sezione (versi 213-295): l’autore tratta l’importanza della poesia sostenendo che, come i sepolcri favoriscono il ricordo dei defunti, essa è custode della memoria e fonte ispiratrice per i vivi.
La prima sezione
Nella prima sezione dei “Sepolcri” si evidenzia la
visione materialistica della vita umana e della natura, una costante del
pensiero foscoliano.
La natura è considerata come una macchina che divora
se stessa e le proprie creature, condannandole all’oblio, rigenerandosi, mentre
il tempo porta con sé l’uomo, le sue ultime tracce e ciò che resta del nostro
mondo svilendo la funzione del sepolcro (versi 17-22:” […] e involve/tutte cose
l’obblio nella sua notte;/e una forza operosa le affatica/di moto in moto; e l’uomo
e le sue tombe/e l’estreme sembianze e le reliquie/della terra e del ciel
traveste il tempo.”).
Foscolo nel verso 23, allora, contrappone a questa
immagine una visione sentimentale, affermando che l’uomo può sopravvivere anche
sottoterra, in assenza della luce del Sole, solo se egli riesce a suscitare il
suo ricordo nella mente dei suoi cari, i quali gli dedicheranno amorevoli
attenzioni (versi 23-29: “Ma perché pria del tempo a sé il mortale/invidierà
l’illusïon che spento/pur lo sofferma al limitar di Dite?/Non vive ei forse
anche sotterra, quando/gli sarà muta l’armonia del giorno,/se può destarla con
soavi cure/nella mente de’ suoi?”).
In questo modo, si instaura la cosiddetta
“corrispondenza di amorosi sensi”, considerata una “celeste dote” che si
prolunga al di là della morte.
Colui che, invece, non lascia alcuna “eredità
affettiva” non sopravvive al “sonno della morte” e, mentre il suo spirito vaga
nell’Inferno (“ ’l compianto de’ templi Acherontei”) o cerca rifugio in
Purgatorio (“o ricovrarsi sotto le grandi ale/del perdono d’Iddio”) lascia le
sue ossa alle ortiche di una terra abbandonata, luogo al quale non accederanno
né una donna innamorata né un viandante solitario.
L’Editto napoleonico di Saint-Cloud (“nuova legge”) impone
che i sepolcri vengano realizzati lontano dai centri abitati (“fuor de’ guardi
pietosi”) e, soprattutto, toglie ai defunti la possibilità di riportare il loro
nome sulla lapide di marmo.
Di questa legge, rimane vittima il grande
intellettuale Giuseppe Parini.
Foscolo immagina Talia, la Musa della satira, vagare
nel cimitero alla ricerca del corpo del suo “sacerdote”, in quanto la città di
Milano, “lasciva d’evirati cantori allettatrice”, non ha onorato
l’intellettuale destinandolo ad una fossa comune, dove le sue ossa sono
mescolate a quelle di un ladro che ha scontato i suoi crimini sul patibolo e la
sua tomba non potrà suscitare il ricordo dei suoi sostenitori.
Particolarmente amareggiato, Foscolo descrive uno scenario
notturno e lugubre (una cagna randagia che si muove raminga tra le tombe,
un’upupa che svolazza fra le croci sparse nel cimitero, un teschio, la luna)
comunicando al lettore la grande ingiustizia che Parini ha subìto, nonostante
abbia lasciato una grande eredità culturale e morale.
Egli conclude la prima sezione affermando che una
tomba deve essere necessariamente lacrimata ed onorata, altrimenti il defunto
non si garantisce l’eterno ricordo dei vivi.
L’ esperienza di Parini segna il passaggio al tema
civile, trattato nella seconda sezione.
La seconda sezione
Nella seconda sezione, Foscolo afferma l’importanza storica che assunsero istituzioni come la famiglia con il matrimonio, le funzioni religiose, le leggi e il culto dei morti nell’evoluzione dei popoli.
Gli uomini primitivi, in effetti, avevano iniziato
ad istituire queste forme legali, sottraendo agli agenti atmosferici e agli
animali selvatici i defunti seppellendoli e consacrando il culto della tomba.
Inizialmente, i morti venivano seppelliti nelle
cripte al di sotto del pavimento delle chiese, dalle quali si diffondeva il
fetore dei cadaveri che, mescolato all’incenso, accompagnava i fedeli durante
la preghiera.
Nel Medioevo, considerato da Foscolo un periodo di
decadenza, le pareti dei sepolcri e delle chiese erano riempite da immagini di
scheletri.
Le madri, allora, erano terrorizzate e coprivano il
capo dei loro figli perché pensavano che, durante il sonno, i congiunti defunti
potessero spaventarli e chiedere la preghiera a pagamento (“venal prece”),
unico modo per alleviare le loro pene ultraterrene.
A questa drammatica immagine, l’autore, con l’uso
nel verso 114 della congiunzione “ma”, contrappone una descrizione luminosa del
culto dei morti in età classica (“Ma cipressi e cedri/di puri effluvj i zefiri
impregnando/perenne verde protendean su l’urne/per memoria perenne…”).
In questo periodo le tombe venivano curate con
cipressi, cedri e fiori che impregnavano l’aria di puri profumi e, accanto, vi
erano dei vasi preziosi che accoglievano le lacrime offerte in voto dalle
persone care, le quali, quando potevano, si recavano lì per raccontare le
proprie pene ai defunti.
L’autore precisa anche che nei cimiteri inglesi, le
donne pregavano le divinità protettrici della patria affinché Horatio Nelson
potesse tornare in Inghilterra; infatti, l’ammiraglio inglese sconfisse le
flotte francesi nel 1805 durante la battaglia di Trafalgar.
Pertanto, Foscolo conferisce alla tomba un significato
patriottico poiché Nelson, nel combattere per la propria patria, ha trovato
nella guerra la morte.
Con l’ausilio della congiunzione “ma”, al verso 137
il poeta antepone alla bara del valoroso ammiraglio, costruita con l’albero
maestro di una nave nemica, la manifestazione dello sfarzo e del prestigio dei
signori con la costruzione di tombe e di mausolei di marmo, che dominano nei
cimiteri del “bello italo regno”, un Paese dove ormai “dorme il furor d’inclite
geste”, la società è governata dalla ricchezza e dal vile opportunismo (“Ma ove
dorme il furor d’inclite geste/e sien ministri al vivere civile/l’opulenza e il
tremore, inutil pompa/e inaugurate immagini dell’Orco/sorgon cippi e marmorei
monumenti).
Nei versi 142-150, invece, è evidente l’opera di denuncia
sociale e politica di Foscolo: gli intellettuali, i dotti ed i mercanti (“il
patrizio vulgo”), pur essendo vivi, sono sepolti nei sontuosi palazzi e
sfoggiano un’opulenza dovuta soltanto all’appartenenza ad un ceto sociale
agiato (“Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo, /decoro e mente al bello
italo regno, /nelle adulate reggie ha sepoltura/già vivo, e i stemmi unica
laude”).
Foscolo, invece, desidera di trovare nella morte un
rifugio tranquillo (la cosiddetta “fatal quïete” - “Alla sera”) in cui la sorte
cessa di perseguitarlo.
La morte diventa, allo stesso tempo, il momento in
cui gli amici possono raccogliere non ricchezze materiali, ma una poesia che
parli di libertà, dignità e sentimenti appassionati (“[…] A noi morte
apparecchi riposato albergo/ ove una volta la fortuna cessi dalle vendette, e
l’amistà raccolga/non di tesori eredità, ma caldi/sensi e di liberal carme
l’esempio.”).
La denuncia della società italiana e le sue criticità introducono la terza sezione del carme, nella quale sono descritti i grandi uomini del passato e le relative sepolture, conservate nella Basilica di Santa Croce a Firenze.
La terza sezione
Rivolgendosi a Pindemonte, Foscolo approfondisce nella terza sezione l’importanza civile delle tombe affermando che i sepolcri dei grandi uomini (“l’urne de’ forti”) sono di esempio per i vivi e rendono “e bella e santa” la terra che li ospita.
Un esempio significativo è la Basilica di Santa
Croce a Firenze.
In questo edificio religioso, il poeta vede le tombe dei grandi del pensiero, dell’arte e della scienza e si sofferma a ricordarne le opere.
- Machiavelli: parlando di politica attraverso “Il Principe”, ha smascherato l’orrore del potere tirannico (“svela di che lagrime grondi e di che sangue”);
- Michelangelo: ha costruito un Olimpo agli dei a Roma (la cupola di San Pietro). È da notare che Foscolo, essendo laico, designa elementi cristiani, come la cupola di San Pietro, attraverso elementi pagani, ossia l’Olimpo;
- Galileo: attraverso lo studio dei pianeti del Sistema Solare, che ruotavano attorno al Sole, permise a Newton di elaborare le leggi della gravitazione universale.
L’intellettuale coglie l'occasione per esaltare
Firenze per la sua aria feconda e ricca di vita, per i corsi d’acqua che
fluiscono a partire dalle cime dell’Appennino, per i colli popolati dai vigneti
e per gli ulivi e le case illuminati dai raggi lunari.
Egli la ritiene, inoltre, la prima città che ascoltò
la Commedia dell’esule Dante (“udivi il carme / che allegrò l’ira del Ghibellin
fuggiasco”) e diede i genitori e la lingua a Petrarca, il quale rese immortale
la lirica erotica greca e latina coprendola di “un velo candidissimo”, quello
dei sentimenti, elevandola, così, in senso spirituale.
Altresì, essa è beata perché ha conservato in un
solo tempio le spoglie di uomini, forse le uniche, che hanno fatto dell’Italia
un Paese glorioso.
Foscolo, però, fa una critica politica in questa
sezione sostenendo che l’Italia, con la dominazione straniera, è stata usurpata
delle ricchezze, della religione, dei territori, ma non della memoria (versi
180-185: “[…] ma più beata ché in un tempio accolte / serbi l’Itale glorie,
uniche forse / da che le mal vietate Alpi e l’alterna /onnipotenza delle umane
sorti / armi e sostanze t’invadeano ed are /e patria e, tranne la memoria,
tutto.”).
Il poeta, tuttavia, contrappone a questo sdegno una
nota di speranza, quella che le tombe di questi grandi uomini possano stimolare
le persone coraggiose e virtuose a continuare la loro opera.
Lo stesso Vittorio Alfieri, come lo stesso Foscolo
ci ricorda, visitando le tombe conservate nella Basilica di Santa Croce a
Firenze, ne ha tratto insegnamento ed ispirazione.
Egli, prossimo alla morte, vagava solitario lungo
l’Arno, guardando i campi e il cielo per dare conforto alla sua anima,
tormentata dal periodo di decadenza in cui riversava la propria Patria.
Foscolo riferisce che Alfieri era solito soffermarsi
tra le tombe della Basilica, in cerca di speranza ed ha avuto il privilegio di
essere sepolto in quell’edificio religioso fra i grandi del passato.
Con repentino passaggio, negli ultimi versi della
terza sezione Foscolo stabilisce un paragone fra il significato di Santa Croce
per gli italiani ed il significato di Maratona per i Greci, dove gli ateniesi
caduti in battaglia contro i Persiani furono seppelliti (versi 197-201: “[…] Ah
sì! da quella / religiosa pace un Nume parla:/ e nutrìa contro a’ Persi in
Maratona/ ove Atene sacrò tombe a’ suoi prodi, / la virtù greca e l’ira.”)
Successivamente, descrive un’atmosfera lugubre,
tipica del Preromanticismo inglese.
Con un ritmo incalzante ed un lessico solenne e foneticamente aspro, Foscolo descrive, avendo come fonte gli scritti del geografo e militare greco Pausania, la battaglia contro i Persiani dove si vedono scintille di elmi e di spade, il fuoco e il fumo proveniente dalle pire usate per bruciare i cadaveri, i fantasmi di guerrieri, e si odono il tumulto delle falangi, le trombe militari, i pianti e il canto delle Parche.
La quarta sezione
Nella quarta sezione, all’inizio, il poeta afferma che i paesaggi naturali, come le tombe, serbano la memoria degli eventi passati, ovviamente, per colui che sappia osservarli e interrogarli.
Egli ritiene, pertanto, fortunato l’amico Pindemonte
che, attraversando il Mar Egeo, ha sentito raccontare che la marea aveva
trasportato le armi gloriose di Achille, rubate da Ulisse, nel promontorio
Retèo, nel Bosforo, vicino alla tomba di Ajace, il quale per l’ira e per la
vergogna dell’affronto subìto si uccise.
Foscolo nei versi 220-221 afferma il valore morale
della morte: essa ricompensa tutte le ingiustizie subite in vita (“a’ generosi/
giusta di glorie dispensiera è morte”).
L’ intellettuale, costretto a vivere la condizione
di esule, spera che un giorno le Muse, che attraverso il loro canto conservano
la memoria dei defunti anche quando il “reo tempo” (“Alla sera” verso 10)
distrugge le loro tombe, lo chiamino a celebrare i grandi eroi del passato
affinché siano un modello per gli uomini.
Foscolo, nei versi successivi, esprime la tensione
dell’uomo nei confronti della morte e della sua sopravvivenza ai posteri
attraverso il racconto della ninfa Elettra; ella, infatti, amata da Zeus, in
punto di morte pregò e ottenne dal padre degli dei di vivere nel ricordo dei
posteri.
Si racconta che sul luogo della sua sepoltura sorse
la città di Troia, due volte rasa al suolo e due volte riedificata, fino a
quando non fu definitivamente distrutta dai Greci, come aveva predetto
Cassandra.
Quest’ultima, a sua volta, come si legge nel carme,
pregò che le palme e i cipressi, piantati dalle nuore di Priamo e cresciuti con
le lacrime delle vedove, proteggessero i sepolcri dei troiani caduti fino al
giorno in cui un “mendico cieco”, Omero, vi si sarebbe recato per abbracciare
ed interrogare sulla loro storia i monumenti funebri.
Omero, ispirato, renderà eterna la loro memoria
raccontando con il suo canto la grandezza di Troia, celebrando il successo dei
vincitori e rendendo onore agli sconfitti, come Ettore, finché “il Sole
risplenderà su le sciagure umane” (verso 295).
Le funzioni della poesia e il messaggio dell'opera
Il carme si conclude con uno dei temi più importanti della poetica di Foscolo: la funzione eternatrice della poesia.
Nello specifico, questa tematica è una costante
nelle sue opere, che matura gradualmente nel passaggio dalla produzione
romanzesca di tono romantico (ad esempio le “Ultime lettere di Jacopo Ortis”) a
quella poetica.
Già con l’introduzione della figura di Lorenzo Alderani come destinatario delle lettere e narratore della vita di Jacopo Ortis è sottintesa l’idea che la poesia ed, in generale, la letteratura debba raccontare ed eternare le gesta, anche dolorose e tragiche, di chi ha combattuto per grandi ideali (la Patria, la libertà nazionale, l’amore per Teresa).
Nel romanzo epistolare “Ortis” il ruolo della poesia
si mescola con il pessimismo, soprattutto quello esistenziale e storico,
visibile particolarmente nella lettera che narra dell’incontro del protagonista
con Giuseppe Parini a Milano e in quella successiva del 14 Marzo 1799, nella
quale sono manifestate le ragioni che inducono Jacopo al suicidio.
Il ruolo eternante viene svolto dalla poesia anche
nelle due odi “A Luigia Pallavicini caduta da cavallo” e “All’amica risanata”.
In particolare, la poesia riesce a eternare in
queste odi rispettivamente lo spirito della vita attiva e la bellezza, la
fragilità e la sensualità umana elevando una donna mortale a livello di una
dea.
La poesia non ha solo una funzione eternante;
Foscolo le riconosce ulteriori funzioni.
Nei sonetti “Alla sera” ed “Alla musa”, essa ha il
compito di rasserenare l’animo del poeta, angosciato dai gravosi impegni
militari ed amareggiato dalle disillusioni amorose, desidera un po’ di pace e
di equilibrio, al punto da invocare la Musa , nel caso del secondo sonetto (versi
1-4 “Pur tu copia versavi alma di canto/ su le mie labbra un tempo, Aonia Diva,
/ quando de’ miei fiorenti anni fuggiva/la stagion prima, /” e versi 7-8 “non
udito or t’invoco; ohimè! soltanto/ una favilla del tuo spirto è viva”).
Nel sonetto “A Zacinto”, la poesia assume, invece,
una funzione consolatrice poiché Foscolo è consapevole che, a differenza di
Ulisse, non potrà mai ritornare nella sua fertile Zacinto.
Egli, destinato dal fato ad una “illacrimata
sepoltura” (verso 14), ritiene che l’unica cosa che possa dedicare alla propria
terra natale è il suo canto.
La poesia viene esaltata nel suo massimo splendore
nel carme “Dei Sepolcri”.
Essa permette, infatti, ai defunti di vivere in
eterno nel ricordo non solo dei loro cari, ma di tutti gli uomini.
La precarietà e le illusioni della vita sono, così,
vinte dalla poesia, la quale rende immortale l’oggetto del proprio canto e i
valori ad esso associati.
Per Foscolo, Ettore, eroe troiano, ha perso la vita
nel campo di battaglia per la difesa del proprio onore, della propria famiglia
e della propria Patria, ma verrà ricordato insieme agli altri vinti che hanno
combattuto per questi ideali fino a quando “il Sole risplenderà su le sciagure
umane”.
Il messaggio di questo grande poeta è profondo ed
articolato, non sempre facile da attuare; in ogni caso, è ammirevole ed
auspicabile che ciascuno di noi si impegni a rendere nobili le proprie azioni
proprio per dare prestigio a se stessi e fare di esse degli esempi che possano
coinvolgere l’intera umanità.
Ugo Foscolo, la sua produzione letteraria e i suoi valori assumeranno un ruolo importante nell’Ottocento, in quanto gli ideali di amore per la Patria, la libertà e la natura saranno oggetto delle poesie dei poeti romantici.
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