Il Romanticismo in campo filosofico, artistico, letterario, religioso, morale, politico, storiografico, sociale, scientifico, linguistico e differenze con l'Illuminismo
Viandante sul mare di nebbia (1811)- Caspar David Friedrich
L’ Ottocento è un periodo storico caratterizzato da moti rivoluzionari, innovazioni in campo tecnologico ed industriale, movimenti letterari e filosofici, al punto che gli storici hanno ritenuto indispensabile suddividere questo secolo in quattro periodi:
Epoca napoleonica (1804-1814)
Napoleone Bonaparte, incoronato nel 1804 imperatore dei francesi, intraprende una serie di gloriose campagne militari volte all'espansione del territorio francese, terminata con la campagna di Russia e, successivamente, con la sconfitta nella battaglia di Waterloo.
Restaurazione (1815-1848)
Dopo la sconfitta di Napoleone, nel congresso di Vienna si ridefinisce l’assetto politico europeo in base al principio di legittimità dinastica, che riporta sul trono i sovrani spodestati da Napoleone, e al principio dell’equilibrio, che mira ad impedire l’egemonia di uno Stato sugli altri.
Moti rivoluzionari (1820-21/1830-31/1848-49)
Rivoluzione 1848 a ParigiIl congresso di Vienna, inoltre, mette in atto uno stretto controllo della vita politica, della stampa e dell’opinione pubblica, al fine di prevenire la diffusione di idee rivoluzionarie.
In opposizione a questa politica autoritaria, in molti Paesi nascono società clandestine che, negli anni Venti, organizzano numerosi moti rivoluzionari, resi vani dall’intervento militare della Santa Alleanza (Austria, Prussia e Russia).
Successivamente, una nuova ondata rivoluzionaria ripercorre l’Europa negli anni Trenta, frutto di un’alleanza tra borghesia e popolo per ottenere Costituzioni liberali e maggiori diritti civili. Degli esempi sono la Francia, dove Luigi XVIII concede una Costituzione che prevede la creazione di un parlamento bicamerale, e il Belgio, che insorge contro l’unione con Olanda ed ottiene l’indipendenza.
Nel 1848 si verifica un’ultima ondata rivoluzionaria, priva di una direzione politica o organizzativa unitaria, provocando la fine della Restaurazione.
Formazione degli Stati europei (1850-1878)
Congresso di Berlino 1878In questo periodo la politica interna degli Stati europei si avvia verso una graduale apertura liberale e costituzionale con la stipula di costituzioni che garantiscono principalmente l’istituzione di parlamenti, i cui rappresentanti sono eletti dai cittadini.
Questi moti rivoluzionari, inoltre, diventano degli
impulsi che provocano l’affermazione di una corrente culturale in tutti i campi
della cultura in Europa nel XIX secolo: il Romanticismo.
Questo fenomeno pone le sue radici in quella serie
di manifestazioni ed esperienze artistiche che prende il nome di PreRomanticismo.
Nella seconda metà del Settecento, Jean Jacques
Rousseau nei suoi scritti fornisce un nuovo significato al termine “Romanticismo”
(“romantique” in francese): esso non
si riferisce più alla letteratura romanzesca medievale, ma allo stato d’animo
malinconico dell’uomo che si manifesta durante la contemplazione di un
particolare paesaggio naturale.
In ambito filosofico, con Edmund Burke, si dà una
definizione al concetto di sublime, inteso come un sentimento di smarrimento e
quasi di terrore generato da uno spettacolo grandioso ed inquietante.
Tra il 1765 e 1785 si sviluppa in Germania un
movimento letterario, “Sturm und Drang” (“Tempesta ed impeto”), che stabilisce
una netta separazione con la cultura illuministica e quella classica.
Gli Sturmer esaltano l’individualismo, la
creatività, l’immaginazione, il titanismo eroico, la ricerca di nuove forme
espressive per trasmettere al lettore emozioni intense in modo immediato.
Inoltre, assumono un ruolo importante la poesia
popolare e le antiche tradizioni, in quanto esprimono profondamente l’animo del
popolo e la sua storia.
Questi ideali si sviluppano in tutta Europa grazie
alla diffusione di opere scritte dai suoi maggiori esponenti come “Tempesta e
impeto” di Friedrich Maximilian Klinger, “I dolori del giovane Werther” di
Johann Wolfgang von Goethe ed “I masnadieri” di Friedrich Schiller.
Il Romanticismo nasce ufficialmente in Germania nel
1800 quando viene pubblicata l’opera “Dialogo sulla poesia” di Friedrich
Schlegel, considerata il primo manifesto del Romanticismo tedesco.
Questo movimento, successivamente, viene accolto in
tutta Europa, soprattutto in Francia, grazie alla mediazione della scrittrice
Madame de Staël, autrice del saggio “De l’Allemagne” (“Sulla Germania”), ed
anche in Inghilterra, con l’opera “Lyrical Ballads” (“Ballate liriche”) nata
dalla collaborazione tra Samuel Taylor Coleridge e William Wordsworth.
È evidente che l’estrema articolazione e complessità
del fenomeno esclude la possibilità di trovare un’unica formula per definirlo;
infatti, sono molteplici le esperienze maturate in Europa, legate alle
tradizioni e alla cultura dei popoli.
Purtuttavia, si evidenziano alcune caratteristiche
comuni del Romanticismo, derivanti principalmente dal rifiuto della tradizione
classica e di quella illuministica.
Gli intellettuali appartenenti a questo movimento
culturale pongono in primo piano il sentimento, le passioni e tutto ciò che è
legato alla dimensione spirituale, opponendosi alla ragione dei “philosophes”, ritenuta incapace di
comprendere la realtà profonda dell’uomo, di Dio e dell’universo.
A partire da questa caratteristica, considerata il fulcro
del Romanticismo, i poeti nelle loro opere esprimono il proprio io, ossia la
loro interiorità non attraverso un’approfondita indagine razionale, come voleva
l’Illuminismo, ma tramite un abbandono spontaneo all’istinto, all’ispirazione
ed alla loro stessa fantasia creatrice.
Nasce, così, il cosiddetto “soggettivismo romantico”, inteso come l’interesse assoluto verso
un punto di vista individuale.
Questa articolata indagine conduce l’uomo ad un
bivio, fino a quel momento sconosciuto ed incomprensibile: l’Assoluto e
l’Infinito. Queste due entità diventano due utopiche mete alle quali
l’uomo tende invano, in quanto egli è un essere umano “finito”.
In questo modo, si crea quel dissidio interiore
caratterizzato dal desiderio di Infinito e dalla volontà di andare oltre la
dimensione materiale dell’esistenza che pervade i personaggi principali delle
opere romantiche.
Questo dissidio si evidenzia, soprattutto, quando i
personaggi (definiti “eroi romantici”) per realizzare le proprie aspirazioni, devono
scontrarsi continuamente con la società del tempo e le sue regole.
Questa lotta può sfociare:
- nell’
ironia dell’individuo, considerata come consapevolezza che ogni realtà finita,
compreso l’uomo, è impari di fronte all’Infinito. Pertanto, l’uomo non deve
prendere sul serio le sue opere, nonostante esse siano ispirate dai sentimenti;
oppure
- nel “titanismo eroico”, inteso come atteggiamento di ribellione con gesti eclatanti, giacché, alla fine, egli risulterà perdente, ossia incapace di superare le barriere del finito.
Entrambe queste vie conducono l’uomo alla malinconia e, di conseguenza, al desiderio della morte.
Questi sentimenti contrastanti sono alla base del sublime che, contrapponendosi alla
perfezione ed all’armonia della tradizione classica, indica l’attrazione e il
piacere provato dall’uomo per tutto ciò che è inquietante, violento, ma, allo stesso
tempo, grandioso e magnifico.
Questa elaborata indagine, tuttavia, può essere
lenita dall’arte, dalla religione e dalla filosofia.
Con il Romanticismo, infatti, si diffonde
l’interesse per la religione (in
particolare quella cristiana), considerata una risposta al bisogno di
riscoprire tradizioni secolari, di analizzare il proprio io, di trovare i lati
oscuri dell’animo per poi saperli, opportunamente, redimere.
In particolare, si tiene conto di un modello religioso teista e trascendente per poter spiegare la relazione tra Finito ed Infinito, del quale la prima entità è una manifestazione parziale.
I Romantici, inoltre,
sottolineano il legame tra la religione e la natura ricorrendo al panteismo,
che attribuisce all’universo caratteri divini, e al panpsichismo, secondo il
quale tutti gli elementi della realtà vivono e possiedono una natura psichica
analoga a quella dell'uomo.
Questa concezione si diffonde, in particolare, nel mondo dell’arte.
A differenza dell'Illuminismo, il quale affermava che la natura era regolata da un complesso di leggi e fenomeni comprensibili attraverso l'uso della Ragione, il Romanticismo sottolinea che la natura è il luogo in cui l'anima può dare sfogo alla propria malinconia e, attraverso essa, l'individuo entra in contatto con una dimensione superiore, che non può essere percepita con l'aiuto della Ragione ma solo abbandonandosi ai sensi ed alla fantasia.
In questo modo, l'uomo e la natura, secondo l'organicismo, possiedono una medesima struttura spirituale, la quale autorizza un'interpretazione psicologica dei fenomeni fisici ed un'interpretazione fisica dei fenomeni psichici.
Per questo motivo, l'artista viene considerato come uno spirito superiore che ha il compito di esprimere la propria personalità in maniera originale e spontanea.
Per andare incontro a questa esigenza, si adotta come linguaggio artistico la pittura che, in questo periodo, viene classificata in:
- pittura paesaggistica, dove vengono ritratti paesaggi grandiosi che evidenziano il profondo rapporto uomo-natura e, allo stesso tempo, la piccolezza dell’essere umano;
- pittura
storica, dove vengono rappresentati episodi tratti dalle grandi rivoluzioni
contemporanee oppure dalla storia medioevale per risvegliare il sentimento
patriottico e incitare alla lotta contro i dominatori stranieri.
Gli intellettuali, tuttavia, affermano che un sentimento capace di colmare questo dissidio interiore, al punto da diventare un anello di congiunzione tra l’uomo e l’Assoluto, è l’amore.
Esso appare come il sentimento più forte che anima
tutto ciò che costituisce la realtà e, addirittura, è parte integrante dell’Assoluto.
All’amore “romantico” vengono riconosciute alcune
caratteristiche come la globalità, in quanto si ama con l’anima e il corpo, ed
essere l’unità assoluta degli amanti, visto che si “fondono” in modo tale che “ciò
che è due possa diventare uno” (concezione ripresa da Hegel).
In esso, inoltre, si manifesta l’Assoluto giacché a
fondersi sono due creature diverse (l’uomo e la donna), così come l’Infinito è
unione di uomo e natura.
Esso, tuttavia, raramente ha esito felice: nasce,
così, il tema dell’amore irraggiungibile, travagliato, raccontato da Goethe nel
romanzo epistolare “I dolori del giovane Werther”, che si conclude con il
suicidio del protagonista poiché non può avere colei che ama.
Quindi, questo sentimento trionfa principalmente nel
sogno o nella morte, dove si azzerano tutti i limiti terreni; se non si riesce
a godere questo sentimento, sinonimo di vita, allora l’uomo opta per il
suicidio.
L’amore, tuttavia, per i Romantici si identifica anche
con i concetti di patria e di nazione.
Gli intellettuali, infatti, affermano che la fantasia creatrice e il genio, presenti non solo nel poeta, ma in tutti i popoli, hanno saputo erigere grandissime opere artistiche e portare avanti il processo storico fino alla modernità, alla nascita della nazione, intesa come insieme di lingua, cultura e tradizione popolare.
L’idea di nazione è un altro aspetto che contrappone il Romanticismo all’Illuminismo: il primo rivendica i diritti dell'individuo finito, determinato ed il senso della tradizione, che erano stati sostituiti dal secondo movimento con il cosmopolitismo.
Nell’Ottocento, questo ideale assumerà un ruolo determinante nella nascita dei moderni Stati europei: la nazione non viene più intesa solo su un piano linguistico culturale, ma anche su quello politico.
Per i popoli che, come quello italiano e quello tedesco, non avevano al tempo ancora realizzato la loro unità, la nazione non poteva essere un puro ricordo storico, bensì un patto da stringere tra gli uomini, dunque un progetto per il futuro.La nazione, quindi, esprimendo un rapporto di vicinanza infinita tra gli uomini, come “quella che è per natura tra il padre ed i figli”, assume un significato del tutto inedito: la patria.
Essa, infatti,
esprime l’esigenza di organizzare la comunità in modo da salvaguardare ricordi
comuni, tradizioni, ed il bisogno impellente di associarsi in un patto (la
Costituzione) che garantisca gli interessi del presente e i progetti del
futuro.
L’attenzione ai concetti di nazione e di patria
conducono ad un generale interesse per le origini delle culture nazionali,
ossia per la storia, intesa come processo evolutivo di un popolo.
La concezione della storia è un altro punto nel
quale divergono l’Illuminismo ed il Romanticismo.
Per gli Illuministi la storia è opera dell’uomo, rifiutano
il passato, a meno che non rispecchi i canoni della Ragione.
Le epoche storiche, pertanto, che non sono sinonimo
di progresso umano sono ritenute lacunose, buie, come, ad esempio, il Medioevo.
I Romantici, invece, esprimono la necessità di
analizzare la storia in tutti i suoi aspetti, di accettarla come “ogni momento della vita umana”, in
quanto essa è un processo naturale di cui ogni evento è irrinunciabile e
irripetibile.
Pertanto, nell’Ottocento è esemplare la rivalutazione del Medioevo che viene ritenuta un’epoca in cui si è formato lo “spirito nazionale” dei vari Paesi europei.
Questi concetti vanno a costituire lo storicismo: una concezione organica della vita individuale e della storia come incessante divenire e continuo progresso.
Il presente è la risultante di tutti gli eventi passati e reca in sé i germi dell'avvenire, un superamento del passato, che , però, accoglie, continua, integra l'esperienza più valida.
Mentre la concezione illuministica della storia appare statica, fondata sulla persistenza immutabile di certi valori, quella romantica è dinamica, protesa alla conquista di valori sempre più alti e complessi, in un processo che si svolge all'infinito.
Gli ideali di nazione e di patria trattati dal Romanticismo vengono accolti ed esaltati in Italia, al punto che il termine “romantico” finisce per assumere anche il significato di “ribelle” e di “patriota”.
In Italia questo movimento culturale si diffonde a partire dal 1816 con la pubblicazione di un articolo sul primo numero della “Biblioteca Italiana” della scrittrice Madame de Staël dal titolo “Sulla maniera e la utilità delle traduzioni”.
In questo articolo, l’autrice invita gli
intellettuali italiani a tradurre le opere straniere contemporanee per far
circolare le nuove idee in Italia.
A questo punto, gli intellettuali si dividono fra sostenitori
delle nuove idee provenienti dall’Europa e strenui difensori del classicismo,
capitanati da Pietro Giordani.
Quest’ultimo afferma, infatti, la necessità di
tutelare l’identità della letteratura italiana attraverso la prosecuzione della
tradizione classica.
Il dibattito si protrae per molti anni e si constata che una linea classicista è perdurata per l’intero Ottocento, ma la nuova sensibilità romantica ottiene un’importante vittoria, ossia quella di aver contribuito alla formazione di una lingua nazionale che possa identificare il popolo italiano.
L'organo di diffusione delle idee romantiche, così, diventa il giornale milanese "Il Conciliatore", la cui direzione comprende Silvio Pellico, Pietro Borsieri, Giovanni Berchet, Ermes Visconti, Ludovico di Breme.
Consapevoli delle profonde trasformazioni culturali, economiche e sociali in atto, i redattori ritengono necessario che i letterati e gli intellettuali si diano da fare per introdurre in Italia le novità letterarie, filosofiche e scientifiche del nuovo tempo.
Essi, quindi, rimproverano gli studiosi italiani dell'arretratezza, dell'inutilità, della decadenza degli studi, affermando la necessità di una cultura ed una lingua moderne e comuni.
La secolare questione della lingua accompagna la letteratura italiana fin dal Trecento con Dante, col suo “De vulgari eloquentia”.
Gli stessi scrittori si posero il problema di quale fosse il migliore idioma nel quale comporre in versi e in prosa.
Un primo assestamento normativo della lingua letteraria si ebbe nel Cinquecento con Pietro Bembo, che fissò il canone di imitazione (Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa) al quale gli scrittori non toscani dovevano attenersi. A sostenere e diffondere questo “canone” contribuì l’Accademia della Crusca e il “Vocabolario” da essa compilato (1612).
A partire dal secondo Settecento quel “canone” fu messo in discussione dalla cultura illuministica e si cominciò a guardare alle lingue europee e a valorizzare l’uso letterario dei dialetti.
Purtuttavia, nell'Ottocento la frammentazione culturale e geopolitica della penisola portò come conseguenza la mancanza di una lingua nazionale non letteraria, aggravata dal diffusissimo analfabetismo e dall’assenza, inoltre, di organi di stampa unitari e di un apparato burocratico che contribuissero alla creazione di una lingua comune, diversa da quella dei letterati e da quella della Chiesa cattolica (il latino).
Pertanto, per i Romantici italiani diventa centrale
l’esigenza di scrivere opere che contribuiscano al progresso civile della
società e che siano comprensibili per il popolo, trattando temi di attualità ed
adottando un linguaggio moderno ed intelligibile, depurato dall’uso di termini
aulici classicheggianti.
In questo periodo si propongono diverse soluzioni,
tra le quali spiccano: il purismo, il classicismo e la soluzione manzoniana.
La prima posizione si rifà alla “Dissertazione sopra lo stato presente della lingua italiana” (1810) dell’abate Antonio Cesari.
Secondo le idee dell’abate e dei puristi, la lingua italiana
da tenere come modello è il fiorentino trecentesco (“il Toscano nacque per così dire bello e formato, soave, regolato,
gentile; con modi di dire leggiadri, vivaci, espressivi…”) nella sua
espressione letteraria, rappresentata dagli “scrittori che la rendettero chiara e illustre”. (Dante, Petrarca,
Boccaccio).
I puristi, inoltre, promuovono la ristampa del
“Vocabolario della Crusca”, aggiungendo moltissimi termini tratti dal
quotidiano, secondo la convinzione che “tutti
[…] in quel benedetto tempo del 1300 parlavano e scrivevano bene”.
La soluzione classicista, invece, sostenuta principalmente da Vincenzo Monti e Pietro Giordani, è espressa nella “Proposta di alcune correzioni e aggiunte al Vocabolario della Crusca”.
Nella polemica contro Cesari, che vede nei
trecentisti solo “oro purissimo”,
Monti considera che le lingue seguendo “le
vicende dei popoli e l'avanzamento delle cognizioni, col mutar de' costumi e
col crescer delle idee mutano e crescono anch'esse le loro fogge di dire” e
che “non pe' morti, ma pe' vivi si ha da
scrivere”.
Pertanto, si afferma la necessità di una lingua
italiana comune a tutta la penisola, che non si limiti ad attingere al
fiorentino del Trecento, ma accolga termini scientifici, stranieri e
neologismi.
In netto contrasto con le posizioni precedenti, i romantici spostano la questione dall’ambito letterario a quello dell’uso.
Essi si rendono conto, infatti, della necessità di
una lingua nazionale che identifichi al massimo il popolo italiano, adattandosi
alle necessità del presente, pur rimanendo legata alle sue radici.
Pertanto, mettono bene in chiaro il bisogno di uno
strumento d’uso quotidiano e ampio, accessibile a tutti i cittadini della
nazione che si va affermando e che si avvia verso l’autonomia.
In questo processo, assumono una grande importanza le esigenze politiche dei patrioti, che trovano difficoltà di comunicazione sia per il controllo esercitato dalla censura austriaca che per la mancanza di un linguaggio comune che costituisca elemento di unificazione tra i cittadini, indipendentemente dal loro livello di alfabetizzazione o dalla loro preparazione culturale.
Lo scrittore romantico Graziadio Isaia Ascoli
afferma nell’opera “Proemio” che per giungere a una lingua unitaria non è né
necessario né utile far riferimento al fiorentino trecentesco o ad un altro
determinato dialetto, ma fare tesoro dell’intera tradizione letteraria
italiana.
L’impianto della lingua italiana è decisamente
fiorentino e letterario, ma è anche il risultato di una elaborazione nazionale,
che lo ha condizionato e modificato.
In base a ciò, secondo Ascoli e i suoi sostenitori, bisogna diffondere la tradizione culturale e letteraria in fasce sempre più ampie di popolazione italiana, rendendo l’alfabetizzazione un’esigenza impellente dal punto di vista sociale.
Purtuttavia, il più importante intellettuale romantico che ha dato un contributo significativo alla questione della lingua è stato Alessandro Manzoni.
Nella stesura definitiva del suo romanzo storico e di formazione “Promessi Sposi”, avvertendo la necessità di scriverlo in una lingua comprensibile al maggior numero di lettori possibile, Manzoni dopo il soggiorno a Firenze del 1827 intende “risciacquare i panni in Arno”, ossia adottare decisamente il dialetto fiorentino parlato dalle persone colte.
Egli, così, tra il 1837 e il 1840, mette in atto una
radicale revisione linguistica del romanzo, offrendo all’Italia un nuovo
modello di lingua unitaria.
La soluzione manzoniana risulterà vincitrice sia per
l’enorme successo dei “Promessi Sposi” che per l’attribuzione allo scrittore
milanese del ruolo di presidente della Commissione per la lingua del Regno
d’Italia, grazie al quale diffonde la sua proposta a tutta la nazione,
istituendo un vocabolario della lingua fiorentina del tempo “Novo vocabolario della lingua italiana
secondo l'uso di Firenze” (1870-1897).
Il Romanticismo italiano, per questa ed altre problematiche, è strettamente legato alle vicende politiche del Risorgimento e si allontana dalla dimensione fantastica ed irrazionale favorita dal Romanticismo tedesco e inglese.
Il movimento Romantico può ritenersi concluso attorno alla metà dell'Ottocento.
Molte sue istanze, però, continuarono ad incidere sui movimenti letterari successivi, provocando dei cambiamenti determinanti, presenti anche ai giorni nostri.
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