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Dubliners by J.Joyce (riferimento a 'Eveline' e 'The dead')

“Dubliners” is a collection of fifteen short stories written by James Joyce in which the author analyses the failure of self-realisation of inhabitants of Dublin in biographical and in psychological ways. The novel was originally turned down by publishers because they considered it immoral for its portrait of the Irish city. Joyce treats in “Dubliners” the paralysis of will in four stages: childhood, youth, maturity and public life. The paralysis of will is the courage and self-knowledge that leads ordinary men and women to accept the limitations imposed by the social context they live in. In “Dubliners” the style is both realistic - to the degree of perfectly recreating characters and idioms of contemporary Dublin - and symbolic – giving the common object unforeseen depth and a new meaning in order to show a new view of reality. Joyce defines this effect “epiphany” which indicates that moment when a simple fact suddenly explodes with meaning and makes a person realise his / her condi

Canto II- Inferno

Sta calando la notte e Dante, che segue Virgilio lungo la strada che li condurrà alla porta dell’Inferno, è il solo che si prepara ad un percorso pieno di difficoltà mentre tutte le altre creature riposano.

Dante rivolge un’invocazione alle Muse e all'alto ingegno precisando le sue notevoli capacità e di memoria e di intuito.

Il Canto II è il primo della Cantica ed è per questo che si apre con il proemio, ovvero l'enunciazione del tema e l'invocazione alle Muse che dovranno assistere Dante nel racconto del viaggio compiuto nell'Oltretomba.

In realtà, secondo alcuni recenti studi, il Canto II e il Canto I devono essere considerati, tuttavia, come un prologo unitari, che fa da introduzione tanto all’intero poema quanto alla prima Cantica; infatti, tutte e tre le Cantiche iniziano con prologhi di due canti che contengono un’invocazione, una parte di narrazione e la presentazione di alcuni elementi che preparano il lettore per quanto seguirà.

Rispetto al proemio delle altre due Cantiche, più ampie e con l'appello a Calliope (Purgatorio, Canto I, 1-12) e ad Apollo (Paradiso, Canto I, 1-36), qui Dante si limita ad invocare in modo generico l'assistenza delle Muse, intese come gli strumenti del fare poesia che ciascun poeta ha a sua disposizione, e l’alto ingegno, da intendersi quello di Dio e non di Dante, e a manifestare l'intenzione di descrivere in modo veritiero la sostanza delle cose viste durante il viaggio.

Quindi, il poeta, come in successive invocazioni, chiede l’aiuto di Dio per dare forma al senso della sua visione e quello delle muse per far sì che i versi ai quali quel senso è affidato rimino, che le figure retoriche abbiano forza, ecc…

Dante viene assalito da numerosi dubbi e non esita a manifestarli alla sua guida Virgilio.

Egli non si sente degno di essere scelto per conoscere le caratteristiche dell’aldilà come è stato per Enea e san Paolo (Enea era sceso agli Inferi per parlare col padre Anchise, come spiegato da Virgilio stesso nel libro VI dell'Eneide, mentre Paolo era stato rapito nel III Cielo, come narrato nella Seconda lettera ai Corinzi).

Enea e San Paolo sono due figure centrali nella tradizione classico-cristiana: Enea è legato alla successiva fondazione di Roma, futuro centro dell'Impero romano e destinata a diventare sede del Papato, mentre san Paolo è l'Apostolo che più di ogni altro contribuì a diffondere il Cristianesimo nel mondo e a fissarne i primi fondamenti teologici.

Dante è stato in realtà scelto dalla grazia divina per l'altissimo compito di andare nell'Oltretomba da vivo e riferire, una volta tornato sulla Terra, tutto quello che ha visto in virtù di un privilegio che deriva dai suoi meriti intellettuali e poetici, ma in questo momento il confronto coi due modelli precedenti lo riempie di timore e lo induce ad abbandonare l’impresa.

Virgilio, irritato, risponde accusando Dante di viltà, rinfacciandogli di aver paura proprio come una bestia che si spaventa vedendo la propria ombra, in quanto il suo viaggio è voluto da Dio e quindi il poeta non ha nulla da temere.

Per convincerlo, il poeta latino rievoca il suo incontro nel Limbo con Beatrice.

La donna è descritta coi tipici attributi della donna-angelo del Dolce Stilnovo (donna bellissima, occhi lucenti come due stelle, voce soave) e Virgilio riferisce il discorso con cui lei gli chiede di soccorrere Dante, una sorta di suasoria classica con tanto di captatio benevolentiae: ella dopo averlo elogiato per i suoi meriti di poeta e la fama destinata a durare fino alla fine dei tempi, gli descrive i pericoli corsi da Dante nella selva oscura, dove è impedito nel suo cammino dalle tre fiere.

Beatrice, venuta espressamente dal Paradiso per invocare l'aiuto in favore del suo amico Dante, e sollecita l'intervento di Virgilio con la sua parola ornata, alludendo alla sua poesia ed alle sue capacità retoriche, promettendo infine di lodare il poeta latino presso Dio quando sarà tornata al Suo cospetto.

L'episodio ha un importante significato allegorico, in quanto chiarisce che il viaggio di Dante ha, sì, come guida la ragione naturale (Virgilio), ma essa è subordinata alla grazia, alla teologia rivelata che è raffigurata da Beatrice e senza la quale ogni percorso di purificazione morale è destinato a fallire; non a caso Virgilio saluta Beatrice come la donna grazie alla quale solamente la specie umana può sollevarsi al di sopra del mondo terreno e sublunare, quindi come la virtù in grado di condurre l'uomo alla salvezza eterna.
Beatrice, durante l’incontro con Virgilio, specifica che santa Lucia, a sua volta inviata dalla Vergine Maria, l'aveva sollecitata a salvare Dante.

Secondo alcuni commentatori, le due figure rispettivamente rappresentano allegoricamente la grazia illuminante e la grazia preveniente.

Inoltre, Dante sceglie santa Lucia perché, secondo un passo del Convinio, aveva sofferto di una grave malattia alla vista e, da quel momento, le era molto devoto.

Nel racconto di Beatrice, comunque, si evince chiaramente che il viaggio di Dante è voluto da Dio e la schiera delle tre donne benedette rimarca il fatto che il suo percorso è tutt'altro che folle, dal momento che il suo destino è oggetto della più ansiosa sollecitudine da parte nientemeno che della Vergine.

L'amore di Beatrice per il poeta fiorentino l'ha spinta a lasciare subito il suo beato scanno e a scendere addirittura nell'Inferno, benché ella spieghi a Virgilio che questo luogo non può farle paura in quanto incapace di arrecarle danno e la donna pone fine al suo accorato discorso rivolgendo al poeta latino gli occhi velati di lacrime, il che l'ha indotto a giungere quanto prima in aiuto a Dante.

Il richiamo di Virgilio e, soprattutto, il ricordo di Beatrice in lacrime hanno su Dante un effetto immediato, così che il poeta recupera tutto il coraggio e prega il suo maestro di proseguire immediatamente il viaggio.

Lo stato d’animo del poeta, così, viene paragonato a un fiore che il freddo notturno ha chiuso, e che si riapre alle prime luci del mattino.

Così, i due viaggiatori riprendono il loro cammino dirigendosi verso la porta dell’Inferno.

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