Sta calando la notte e Dante, che
segue Virgilio lungo la strada che li condurrà alla porta
dell’Inferno, è il solo che si prepara ad un percorso pieno di difficoltà
mentre tutte le altre creature riposano.
Dante rivolge un’invocazione alle Muse e all'alto ingegno
precisando le sue notevoli capacità e di memoria e di intuito.
Il Canto II è il primo della Cantica ed è per questo che si
apre con il proemio, ovvero l'enunciazione del tema e l'invocazione alle Muse
che dovranno assistere Dante nel racconto del viaggio compiuto nell'Oltretomba.
In realtà, secondo alcuni recenti studi, il Canto II e il
Canto I devono essere considerati, tuttavia, come un prologo unitari, che fa da
introduzione tanto all’intero poema quanto alla prima Cantica; infatti, tutte e
tre le Cantiche iniziano con prologhi di due canti che contengono
un’invocazione, una parte di narrazione e la presentazione di alcuni elementi
che preparano il lettore per quanto seguirà.
Rispetto al proemio delle altre due Cantiche, più ampie e
con l'appello a Calliope (Purgatorio, Canto I, 1-12) e ad Apollo (Paradiso,
Canto I, 1-36), qui Dante si limita ad invocare in modo generico l'assistenza
delle Muse, intese come gli strumenti del fare poesia che ciascun poeta ha a
sua disposizione, e l’alto ingegno, da intendersi quello di Dio e non di Dante,
e a manifestare l'intenzione di descrivere in modo veritiero la sostanza delle cose
viste durante il viaggio.
Quindi, il poeta, come in successive invocazioni, chiede
l’aiuto di Dio per dare forma al senso della sua visione e quello delle muse
per far sì che i versi ai quali quel senso è affidato rimino, che le figure
retoriche abbiano forza, ecc…
Dante viene assalito da numerosi dubbi e non esita a
manifestarli alla sua guida Virgilio.
Egli non si sente degno di essere scelto per conoscere le
caratteristiche dell’aldilà come è stato per Enea e san Paolo (Enea era sceso
agli Inferi per parlare col padre Anchise, come spiegato da Virgilio
stesso nel libro VI dell'Eneide, mentre Paolo era stato rapito nel III
Cielo, come narrato nella Seconda lettera
ai Corinzi).
Enea e San Paolo sono due figure centrali nella tradizione
classico-cristiana: Enea è legato alla successiva fondazione di Roma, futuro
centro dell'Impero romano e destinata a diventare sede del Papato, mentre san
Paolo è l'Apostolo che più di ogni altro contribuì a diffondere il
Cristianesimo nel mondo e a fissarne i primi fondamenti teologici.
Dante è stato in realtà scelto dalla grazia divina per
l'altissimo compito di andare nell'Oltretomba da vivo e riferire, una volta
tornato sulla Terra, tutto quello che ha visto in virtù di un privilegio che
deriva dai suoi meriti intellettuali e poetici, ma in questo momento il
confronto coi due modelli precedenti lo riempie di timore e lo induce ad
abbandonare l’impresa.
Virgilio, irritato, risponde accusando Dante di viltà,
rinfacciandogli di aver paura proprio come una bestia che si spaventa vedendo
la propria ombra, in quanto il suo viaggio è voluto da Dio e quindi il poeta
non ha nulla da temere.
Per convincerlo, il poeta latino rievoca il suo incontro nel
Limbo con Beatrice.
La donna è descritta coi tipici attributi della donna-angelo
del Dolce Stilnovo (donna bellissima, occhi lucenti come due stelle, voce
soave) e Virgilio riferisce il discorso con cui lei gli chiede di
soccorrere Dante, una sorta di suasoria classica con tanto
di captatio benevolentiae: ella dopo averlo elogiato per i suoi
meriti di poeta e la fama destinata a durare fino alla fine dei tempi, gli
descrive i pericoli corsi da Dante nella selva oscura, dove è impedito nel
suo cammino dalle tre fiere.
Beatrice, venuta espressamente dal Paradiso per invocare
l'aiuto in favore del suo amico Dante, e sollecita
l'intervento di Virgilio con la sua parola ornata, alludendo alla
sua poesia ed alle sue capacità retoriche, promettendo infine di lodare il
poeta latino presso Dio quando sarà tornata al Suo cospetto.
L'episodio ha un importante significato allegorico, in
quanto chiarisce che il viaggio di Dante ha, sì, come guida la ragione naturale
(Virgilio), ma essa è subordinata alla grazia, alla teologia rivelata che è
raffigurata da Beatrice e senza la quale ogni percorso di purificazione morale
è destinato a fallire; non a caso Virgilio saluta Beatrice come la donna grazie alla quale
solamente la specie umana può sollevarsi al di sopra del mondo terreno e
sublunare, quindi come la virtù
in grado di condurre l'uomo alla salvezza eterna.
Beatrice, durante l’incontro con Virgilio, specifica che santa Lucia, a sua
volta inviata dalla Vergine Maria, l'aveva sollecitata a salvare Dante.
Secondo alcuni commentatori, le due figure rispettivamente rappresentano
allegoricamente la grazia illuminante e la grazia preveniente.
Inoltre, Dante sceglie santa Lucia perché, secondo un passo
del Convinio, aveva sofferto di una
grave malattia alla vista e, da quel momento, le era molto devoto.
Nel racconto di Beatrice, comunque, si evince chiaramente
che il viaggio di Dante è voluto da Dio e la schiera delle tre donne benedette rimarca il
fatto che il suo percorso è tutt'altro che folle, dal momento che
il suo destino è oggetto della più ansiosa sollecitudine da parte nientemeno
che della Vergine.
L'amore di Beatrice per il poeta fiorentino l'ha spinta a
lasciare subito il suo beato scanno e a scendere addirittura
nell'Inferno, benché ella spieghi a Virgilio che questo luogo non può farle
paura in quanto incapace di arrecarle danno e la donna pone fine al suo
accorato discorso rivolgendo al poeta latino gli occhi velati di lacrime, il
che l'ha indotto a giungere quanto prima in aiuto a Dante.
Il richiamo di Virgilio e, soprattutto, il ricordo di
Beatrice in lacrime hanno su Dante un effetto immediato, così che il poeta
recupera tutto il coraggio e prega il suo maestro di proseguire immediatamente
il viaggio.
Lo stato d’animo del poeta, così, viene paragonato a un
fiore che il freddo notturno ha chiuso, e che si riapre alle prime luci del
mattino.
Così, i due viaggiatori riprendono il loro cammino dirigendosi verso la porta dell’Inferno.
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