“Dubliners” is a collection of fifteen short stories written by James Joyce in which the author analyses the failure of self-realisation of inhabitants of Dublin in biographical and in psychological ways. The novel was originally turned down by publishers because they considered it immoral for its portrait of the Irish city. Joyce treats in “Dubliners” the paralysis of will in four stages: childhood, youth, maturity and public life. The paralysis of will is the courage and self-knowledge that leads ordinary men and women to accept the limitations imposed by the social context they live in. In “Dubliners” the style is both realistic - to the degree of perfectly recreating characters and idioms of contemporary Dublin - and symbolic – giving the common object unforeseen depth and a new meaning in order to show a new view of reality. Joyce defines this effect “epiphany” which indicates that moment when a simple fact suddenly explodes with meaning and makes a person realise his / her condi
Numerose ipotesi sono state fatte dagli studiosi di Dante Alighieri riguardo la data di inizio del presunto viaggio nei tre regni dell’oltretomba.
Secondo le recenti interpretazioni della Divina Commedia, il poeta pone come data di inizio del suo viaggio il 25 marzo 1300, la quale coincide con la sera del giovedì santo, giorno in cui gli apostoli, dopo aver assistito all'Ultima Cena, si addormentano in un sonno profondo, mentre Cristo vive la Passione nell'orto degli ulivi.
Dante, nel proemio del poema allegorico-didascalico, è preso dallo stesso sonno profondo e smarrisce inconsapevolmente la "retta via".
Il poeta, successivamente, si ritrova impaurito ai piedi di un colle.
Egli si sente finalmente rassicurato; infatti, il colle rappresenta allegoricamente la beatitudine, un obiettivo che, secondo Dante, l'uomo deve perseguire.
La paura e l'angoscia che prova il poeta nell' intraprendere il viaggio si evidenzia attraverso una similitudine presente nei versi 22-27:
"E come quei che con lena affannata
uscito fuor del pelago a la riva
si volge a l'acqua perigliosa e guata
così l'animo mio, ch'ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva".
Dante si paragona al naufrago che, appena uscito fuori dal pelago, sulla riva si sofferma a guardare verso quelle acque minacciose che è riuscito con enorme difficoltà a lasciarsi dietro.
Il poeta stesso riguarda quel "passo" (perifrasi riferita alla selva oscura) dal quale nessun essere umano è riuscito ad uscirne vivo.
È bene far notare che le similitudini distribuite nelle tre cantiche (Inferno, Purgatorio e Paradiso) sono 400.
Esse sono di vario genere e si distinguono in tre categorie:
• classiche: le similitudini sono perfettamente bilanciate e corrette da un punto di vista grammaticale;
• classiche improprie: nelle similitudini, pur rimanendo l'equilibrio tra i vari elementi , sono presenti delle forzature grammaticali;
• semplici comparazioni brevi ed essenziali.
Lo stesso sentimento di terrore espresso altrettanto da un'altra similitudine presente nei versi 55-60:
"E qual è quei che volentieri acquista,
e giugne 'l tempo che perder lo face,
che 'n tutti suoi pensier piange e s'attrista;
tal mi fece la bestia sanza pace
che venendomi ’ncontro a poco a poco
mi ripigneva là dove ’l sol tace".
Il poeta paragona la sua gioia a quella del giocatore fortunato che continua a scommettere, convinto che la fortuna non lo abbandonerà mai.
Il solo pensiero, però, che un attimo di sfortuna potrebbe fargli perdere tutta la vincita, lo sconvolge e non riesce più a godere della fortuna.
Sopraggiunge, così, la lupa insieme alle altre due fiere (lonza e leone) che rappresenta allegoricamente l'avarizia-cupidigia, vizio capitale che ha colpito la stessa Firenze.
La presenza di questa bestia, la quale lo spinge verso il buio più profondo (la selva), lo turba al punto che non riesce a fermarla, fino a quando non va in suo soccorso Virgilio.
Altra similitudine di incomparabile bellezza è quella in cui Dante descrive nei versi 112-117, presenti nel canto III, come le anime si avvicinano tra loro per salire sulla zattera di legno traghettata dal demonio Caronte.
Egli le paragona alle foglie che durante l'autunno si staccano dal ramo e, l'una dopo l'altra, si ammucchiano finché lo stesso ramo le può vedere sul suolo come sue stesse spoglie:
"Come d’autunno si levan le foglie l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo
vede a la terra tutte le sue spoglie,
similemente il mal seme d’Adamo
gittansi di quel lito ad una ad una,
per cenni come augel per suo richiamo".
Le anime, inoltre, fanno lo stesso movimento lieve che compie il falcone al richiamo del cacciatore.
Successivamente, nel canto V Dante utilizza una similitudine presente nei versi 40-45 per parlare della pena (per analogia) dei lussuriosi:
“E come li stornei ne portan l’ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali;
di qua, di là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena”.
Come gli stornelli che, durante l'inverno, si muovono a schiera larga e fitta, i lussuriosi vengono scossi da un’incessante bufera che li trascina e, con la sua furia impetuosa, li sbatte da una parte all'altra del cerchio.
Quest'ultimi, di fronte a tanta violenza, bestemmiano Dio.
Il poeta con una similitudine presente nei versi 46-49 paragona questi spiriti ed i loro lamenti alle gru, le quali, cantando i loro soliti canti, volano nel cielo formando una lunga e larga schiera ed emettono dei gemiti:
“E come i gru van cantando lor lai,
faccendo in aere di sé lunga riga,
così vid’io venir, traendo guai,
ombre portate da la detta briga[…]”.
All’improvviso, l'attenzione dei due poeti viene colpita da due anime che, attraversando l'aria maligna, si dirigono verso di loro con un grido forte ed affettuoso.
Dante, a questo punto, attraverso una similitudine presente nei versi 82-87, paragona la coppia a due colombe che, prese dal desiderio, vanno verso il loro nido con le ali spiegate:
“ Quali colombe dal disio chiamate
con l’ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l’aere dal voler portate;
cotali uscir de la schiera ov’è Dido,
a noi venendo per l’aere maligno,
sì forte fu l’affettuoso grido”.
Dante riconosce, così, Paolo (Malatesta da Rimini) e Francesca (da Polenta) e, dopo aver ricevuto il consenso di Virgilio, chiede ai due amanti di raccontare la loro storia.
Francesca accoglie la richiesta del poeta fiorentino e narra con dovizia di particolari la sua relazione con Paolo.
Il tono è così toccante che Dante si commuove e prova per lei una profonda tenerezza, associando il suo sentimento al suo amore (platonico) per Beatrice.
Ormai il poeta è così provato dal dolore che affligge i due amanti al punto che perde i sensi. Descrive, anche in questo caso, questo stato d'animo attraverso una similitudine presente nel verso 142:
“E caddi come corpo morto cade".
Attraverso queste similitudini, Dante Alighieri riesce a comunicare con maestria e delicatezza il profondo studio analitico dei più importanti sentimenti umani che, di volta in volta, illustrerà come criteri fondamentali della sua opera e, principalmente, della cantica dell'Inferno.
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