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Dubliners by J.Joyce (riferimento a 'Eveline' e 'The dead')

“Dubliners” is a collection of fifteen short stories written by James Joyce in which the author analyses the failure of self-realisation of inhabitants of Dublin in biographical and in psychological ways. The novel was originally turned down by publishers because they considered it immoral for its portrait of the Irish city. Joyce treats in “Dubliners” the paralysis of will in four stages: childhood, youth, maturity and public life. The paralysis of will is the courage and self-knowledge that leads ordinary men and women to accept the limitations imposed by the social context they live in. In “Dubliners” the style is both realistic - to the degree of perfectly recreating characters and idioms of contemporary Dublin - and symbolic – giving the common object unforeseen depth and a new meaning in order to show a new view of reality. Joyce defines this effect “epiphany” which indicates that moment when a simple fact suddenly explodes with meaning and makes a person realise his / her condi

Canto IV - Inferno

 

Un tuono, che segue a un lampo, risveglia Dante.

Il protagonista si guarda intorno e comprende di essere al di là del fiume Acheronte (vedasi Canto III), nel primo dei nove Cerchi in cui è diviso l'Inferno, il cui fondo è così oscuro che non riesce a vedervi nulla.

Virgilio invita il poeta fiorentino a seguirlo, ma con un pallore che allarma Dante, il quale, infatti, ne chiede il motivo.

L’improvviso pallore di Virgilio è il primo ovvio indizio della sua umanità. Dante, dapprima sopraffatto dall’ammirazione per questo “padre” poetico, non sembrava aver contemplato nel primo canto la possibilità che la sua guida potesse avere limiti o difetti; né, d’ altra parte, l’atteggiamento tenuto dal poeta latino durante la sua prima apparizione aveva rivelato alcuna incrinatura, se non quando aveva accennato alla propria esclusione dal Paradiso e alla necessità di essere, ad un certo punto, sostituito da Beatrice (vedasi Canto II).

Questa è la prima di una serie di reazioni di Virgilio all’ambiente in cui si trova e che riveleranno gradualmente le sue limitazioni nell’aldilà cristiano in cui si muove.

Nell’intreccio del canto, il pallore di Virgilio è scambiato dal protagonista per un effetto della paura, la stessa che lo aveva preso alla fine del canto precedente e che ora dovrebbe aver contagiato la guida.

Virgilio risponde che il pallore è dovuto alla presenza in quel luogo di anime che lui ben conosce, essendo anch’egli uno spirito relegato nel Limbo (significa lembo ed indica l'orlo estremo della voragine infernale)

Dopo aver ricordato a Dante che la strada da percorrere è lunga, Virgilio lo conduce all'interno del Cerchio.

I lamenti che si odono in questa nuova zona dell’Inferno sembrano a Dante meno luttuosi: sono sospiri più che grida.

Virgilio, a questo punto, afferma che nel primo Cerchio dell'Inferno sono relegate le anime di coloro che vissero virtuosamente, ma non furono battezzati (come i bambini morti in tenera età) oppure vissero prima di Cristo (come i pagani, fra cui Virgilio stesso). Questi spiriti non sono dannati, la loro unica pena, che segue la legge del contrappasso, consiste in un desiderio eternamente inappagato di vedere Dio e non potranno mai raggiungere la salvezza.

Dante tocca, così, il delicato tema dell'apparente ingiustizia della condizione di queste anime, le quali, pur essendo dei personaggi di importante rilevanza, sono relegate nel Limbo perché nate prima della venuta di Cristo, come Virgilio ed i principali filosofi e personaggi pagani mostrati più avanti, o vissuti in terre lontane dall'Occidente in cui è avvenuta storicamente la predicazione cristiana, senza contare il caso dei bambini morti prima di ricevere il battesimo e i loro pianti rappresentano una sensazione uditiva che colpisce subito l'orecchio di Dante.

Il poeta tornerà a più riprese su questo argomento a cominciare dal Canto III del Purgatorio in cui proprio Virgilio gli spiegherà che la giustizia divina fa sì che i corpi umbratili delle anime possano subire pene fisiche e che questo mistero divino è incomprensibile alla ragione umana, come quello della Trinità (invano i filosofi antichi tentarono di dare risposta a simili questioni, così come ora essi desiderano invano conoscere Dio, destino che accomuna Aristotele, Platone e altri tra cui forse lo stesso poeta latino).

In seguito, nei Canti XIX-XX del Paradiso, l'aquila del Cielo di Giove tornerà a spiegare a Dante che la salvezza è legata alla fede in Cristo e che l'esclusione da essa per quelle persone vissute ai limiti estremi del mondo può sembrare ingiusta, ma è motivata dall'imperscrutabile volontà divina che la ragione umana non deve avere la presunzione di comprendere, in quanto la sua profondità è insondabile.

Dante, inoltre, esprime nella terzina costituita dai versi 28-30 il suo profondo dissenso da san Tommaso riguardo alle anime che occupano il Limbo.

Per san Tommaso, infatti, gli abitanti del Limbo appartenevano in principio a due sole classi sociali: i Patriarchi, che Cristo ha tratto dal Limbo e accolto in Paradiso, e tutti i bambini non battezzati. Dopo la discesa di Cristo agli inferi e la liberazione dei santi ebrei, il Limbo accoglie solo il secondo gruppo.

Dante, invece, aggiunge a quest’ultimo gruppo i pagani virtuosi.

Il protagonista si rattrista al dramma spirituale che vivono queste anime e chiede se mai nessuno è stato, per merito suo o di altri, dal Limbo portato in cielo.

Virgilio risponde affermativamente: egli è stato testimone della liberazione dal Limbo di alcune anime da parte di un personaggio potente che aveva una corona e portava un segno di vittoria; si tratta dei grandi personaggi dell’Antico Testamento (Adamo, Abele, Noè, Mosè, Abramo, Davide, Giacobbe, Isacco, i dodici figli di Giacobbe e Rachele) essere stati riscattati e strappati all’Inferno da Cristo, il quale probabilmente indossava il nimbo cruciforme o, semplicemente, un’aureola (corona) e teneva in mano uno scettro a forma di croce (segno di vittoria).

Tra queste anime ci sono anche Catone l'Uticense, divenuto poi custode del Purgatorio, Rifeo, Traiano e Stazio, che Dante presenterà nel Purgatorio come convertito al Cristianesimo già in vita.

Facendosi strada tra i non battezzati, Dante e Virgilio si dirigono verso una zona del Cerchio rischiarata da una luce tanto vivida da formare un semicerchio luminoso.

Il primo Cerchio è il solo luogo dell’Inferno a risplendere di una qualche luce ed è occupato dalle anime degne d’onore: la loro fama terrena ha mosso il cielo a concedere loro uno statuto speciale nell’aldilà.

I due viandanti avvertono, all’improvviso, una voce che invita a rendere onore a Virgilio che ritorna nel Limbo: Dante vede avvicinarsi quattro imponenti anime che non sembrano tristi né felici.

Il contegno di queste anime riflette la loro condizione di sospesi: non sono tristi perché non sono soggette ad alcuna pena corporale nel Limbo, e non sono liete perché è loro negato il Paradiso.

Virgilio li presenta come Omero, che regge in mano una spada (egli rappresenta allegoricamente la magnificenza dell’epica, considerata da Dante il genere poetico maggiore), Orazio, autore delle Satire, Ovidio, autore delle Metamorfosi e Lucano, autore del Bellum civile.

Questo inedito e particolare episodio conferisce al Canto IV dell’Inferno, secondo alcuni critici, un posto di assoluto rilievo per chi voglia esaminare i rapporti tra Dante e la tradizione poetica, in particolare riguardo quella classica.

La specifica menzione di un illustre predecessore, quale Omero, corrisponde senza dubbio ad un debito letterario maturato da Dante stesso.

Dante, tuttavia, non poteva leggere le opere del poeta greco in originale (possibilità che si verificherà a partire dall’Umanesimo), ma attraverso traduzioni latine della materia omerica (l'episodio di Ulisse del Canto XXVI, ad esempio, è estraneo ai poemi classici), nonché una lunga tradizione che gli assegnava il primato nella poesia, soprattutto epica.

Quanto, invece, ai tre restanti, nella scuola medievale essi rappresentavano, dopo Virgilio, le letture irrinunciabili per chi volesse avere una formazione poetica e, dunque, erano presenti quotidianamente sulla scrivania dantesca.

Secondo i critici Alessio e Villa, essi sono organizzati in modo da rappresentare ciascuno un genere letterario: Virgilio la tragedia; Ovidio l’elegia; Orazio la satira; Lucano la storia.

Il pensiero medievale aveva sottoposto specialmente Ovidio a un intenso lavoro di reinterpretazione in chiave cristiana, il che vale naturalmente anche per lo stesso Virgilio e per la letteratura classica.

Pertanto, non c'è da stupirsi se Dante accorda la sua preferenza a questi autori che costituivano il «canone» del Medioevo latino ed erano presi a modello dagli scrittori di poesia; tra essi vi era una sorta di gradazione di importanza, per cui si può ipotizzare che l'ordine in cui li cita Dante rispetti tale gerarchia e consideri Virgilio e Omero come i modelli più autorevoli, non solo in quanto maestri di letteratura ma anche di filosofia e sapere.

Dante stesso gareggia proprio con Ovidio e Lucano nel Canto XXV dell’Inferno, dove descrive le mostruose trasformazioni dei ladri nella VII Bolgia e manifesta, con un certo orgoglio, la propria abilità che gli consente, a suo dire, di superare di gran lunga il loro esempio e il loro magistero.

A sostegno di ciò, i quattro poeti si trattengono un poco a parlare con Virgilio, poi si rivolgono amichevolmente a Dante invitandolo a partecipare alla discussione di profondi argomenti che, in virtù di una sorta di reticenza, non esplicita al lettore, diventando, così, il sesto tra cotanto senno.

In questo modo, non solo Dante si pone sullo stesso piano degli illustri poeti e, dunque, in veste di successore, ma, implicitamente, il poeta afferma che la poesia volgare può competere con quella latina.

Secondo gli stessi Alessio e Villa, Dante completa, addirittura, la lista dei tre poeti latini, ponendosi come il rappresentante della commedia, “usurpando” questo ruolo a Terenzio, considerato dai commentatori del Medioevo uno dei più importanti scrittori di questo genere letterario.

La sicurezza con cui Dante promuove qui la propria carriera letteraria ha causato diversi tipi di imbarazzo nei commentatori.

Dante, di norma, si presenta come umile agente di Dio nella composizione del poema; qui, invece, si è scelto una compagnia piuttosto impegnativa, della quale si dichiara membro paritario, pur avendo scritto solo alcune poesie: la Vita nuova, due tratti incompiuti ed appena tre canti della Commedia.

A suo favore si può dire che oggi la maggior parte dei critici lo includa in questa compagnia di grandi poeti, anzi lo consideri uno dei suoi elementi di punte.

Non era, insomma, una mossa scontata, ma si giustifica ora a posteriori per il genio del poeta.

I sei poeti, successivamente, si avviano verso un punto luminoso dal quale sorge una costruzione che si rivela essere un castello.

Esso è circondato da sette ordini di mura (secondo alcuni critici esso rappresenta lo stato di beatitudine che l’uomo può raggiungere senza ricorrere alla Grazia divina; altri, invece, affermano che il castello rappresenta la filosofia con le sue sette branche: fisica, metafisica, etica, politica, economica, matematica e dialettica) ed è cinto da un fiume.

Dopo aver superato il fiume (come se fosse terra solida) ed attraversato sette porte, entrano in un paesaggio gradevole dove risiedono i grandi spiriti dell’antichità e del presente non cristiano dallo sguardo fiero (gli «spiriti magni»): il testo cita i nomi di quattordici grandi personaggi che si sono distinti nella vita contemplativa per meriti letterari, militari, scientifici o morali, e che pur non essendo salvi godono di un maggior grado di considerazione rispetto alle altre anime.

Dante scorge :

  • Elettra, figlia di Atlante e madre di Dardano, il fondatore della città di Troia (secondo il mito ripreso nell’ottavo libro dell’Eneide);
  • Ettore ed Enea, i due principali eroi del campo troiano nell’opera maggiore di Virgilio;
  • Giulio Cesare, “discendente” di Enea e, agli occhi di Dante, fondatore dell’egemonia romana;
  • Camilla, la virago che cadde eroicamente opponendosi all’invasione dell’Italia da parte dei troiani;
  • Pentesilea,la  regina delle Amazzoni che venne in aiuto ai troiani dopo la morte di Ettore;
  • il re Latino e Lavinia, rispettivamente il suocero e la seconda moglie di Enea;
  • Lucio Giunio Bruto, il responsabile della cacciata da Roma di Tarquinio il Superbo (settimo re di Roma), il cui figlio aveva violato Lucrezia;
  • Giulia,la figlia di Cesare e moglie di Pompeo;
  • Marzia, la moglie di Catone l’ Uticense;
  • Cornelia,la figlia di Scipione Africano e moglie di Tiberio Sempronio Gracco, dal quale ebbe due figli, Tiberio e Caio, i tribuni che venivano generalmente chiamati “i Gracchi”;
  • Saladino, Avicenna ed Averroè, considerati i tre rappresentanti della cultura islamica, una realtà che Dante  presentò sempre in termini sprezzanti e solo come nemica della cristianità.

Dante vede anche un gruppo di filosofi, tra cui Aristotele, Socrate, Platone, Democrito, Diogene, Anassagora, Talete, Empedocle, Eraclito, Zenone, Dioscoride.

Egli vede, inoltre, dei poeti, tra cui Orfeo, Museo e Lino, considerati i primi poeti teologi, e degli scrittori come Cicerone e Seneca, poi Euclide, Tolomeo, Ippocrate, Galeno.

Secondo alcuni studiosi di Dante, il poeta fiorentino elenca ed analizza questi personaggi  per affermare che nella vita si possono ottenere risultati altissimi e degni anche se non si abbraccia la fede in Cristo; tuttavia ciò precluderà le porte del Paradiso, riservando uno stato di “sospensione” certamente serena ma né trista né lieta.

Dante nota che molti altri sarebbero i nomi da menzionare, ma insiste anche di non poter prolungare la lista indefinitamente.

I due viandanti, allora, si separano dai quattro poeti e scendono nel secondo Cerchio dove l'aria è tempestosa e il buio torna a dominare la scena.

 

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