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Dubliners by J.Joyce (riferimento a 'Eveline' e 'The dead')

“Dubliners” is a collection of fifteen short stories written by James Joyce in which the author analyses the failure of self-realisation of inhabitants of Dublin in biographical and in psychological ways. The novel was originally turned down by publishers because they considered it immoral for its portrait of the Irish city. Joyce treats in “Dubliners” the paralysis of will in four stages: childhood, youth, maturity and public life. The paralysis of will is the courage and self-knowledge that leads ordinary men and women to accept the limitations imposed by the social context they live in. In “Dubliners” the style is both realistic - to the degree of perfectly recreating characters and idioms of contemporary Dublin - and symbolic – giving the common object unforeseen depth and a new meaning in order to show a new view of reality. Joyce defines this effect “epiphany” which indicates that moment when a simple fact suddenly explodes with meaning and makes a person realise his / her condi

Ausmerzen - lo spettacolo teatrale di Marco Paolini che ricorda in modo inedito il Giorno della Memoria


Il 26 gennaio 2011 il drammaturgo e scrittore Marco Paolini rappresentò nell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini di Milano il suo spettacolo Ausmerzen.

“Ausmerzen” è una parola di origine contadina e significa “sopprimere”; infatti a marzo, prima della transumanza, i contadini sopprimono gli animali più deboli, quelli che rimangono sempre indietro rispetto al resto del gruppo.

Ispirandosi a questa usanza, la Germania nazista decise di sopprimere 8 milioni di persone perché erano ritenute “deboli” e che “pesavano sulle casse dello Stato”. In questo racconto teatrale, Paolini non si è soffermato su quanto accaduto nei campi di concentramento, ma su quanto li ha preceduti: Aktion T4.

Questo è il nome del programma nazista che dal 1933 al 1946 autorizzò prima la sterilizzazione e poi l’eutanasia di persone affette da disabilità fisiche o intellettive, al fine di preservare la sanità e l’integrità del buon sangue tedesco e la razza ariana; infatti, questo programma si basava sugli studi dell’ eugenetica, ossia l’insieme dei metodi volti al perfezionamento della razza umana.


La sigla “T4” fa riferimento ad un indirizzo di Berlino (in pieno centro), Tiergartenstrasse n.4, dove dal 1939 si riunirono una commissione di medici e di psichiatri con l’incarico di censire le “vite indegne di essere vissute” e di ordinare il loro trasferimento in alcuni manicomi presenti sul territorio tedesco. Questi ordini riguardarono sia bambini nati con malformazioni fisiche o con disabilità mentali, sia adulti affetti da qualche patologia psichiatrica, fisica o disabilità intellettiva. All’interno delle strutture, le persone ritenute forti venivano usate come cavie per sperimentare cure, mentre su quelle più deboli si sperimentava l’uso del gas, arma letale per l’uomo utilizzata, poi, nella Seconda Guerra Mondiale, e dei forni crematori per cancellare le tracce dei corpi.

Il programma fu ufficialmente interrotto nel 1941 anche se poi si continuò a praticare l’eutanasia sui malati fino al 1945. Furono soprattutto le famiglie delle vittime a farsi sentire. Molte di esse avevano firmato il consenso all’internamento perché gli era stato fatto credere che i figli avrebbero ricevuto un “trattamento” di guarigione. Sapevano che si sarebbe trattato di una procedura pericolosa, ma erano pur sempre genitori che volevano continuare a sperare.

Le famiglie protestarono, ma, in generale, nella Germania nazista le persone con disabilità non erano ben viste. Paolini ne indica la motivazione: sono bocche a carico dello Stato. Bisogna considerare che si parla di un Paese che è uscito economicamente distrutto dopo la Prima Guerra Mondiale e che soffre l’inflazione sollevata dal crollo di Wall Street molto di più degli altri Paesi europei. Pertanto, per la Germania nazista inizia ad essere un peso per la popolazione tedesca dover sfamare delle persone che non contribuiscono alla crescita produttiva del Paese.

Marco Paolini, nel suo spettacolo, volle celebrare il Giorno della memoria diversamente: egli volle ricordare le origini del male, l’incipit che diede vita a quel grande massacro. Lo spettacolo di Paolini mette in luce tutti gli aneddoti nascosti dalle grandi storie della Shoah e fa riflettere su come il Male riesca ad insinuarsi nelle persone; metaforicamente Paolini lo identifica come un “cancro, che all’inizio non sai di avere, ma poi te ne accorgi e cerchi di curarti quando, ormai, è troppo tardi”.

Il drammaturgo apre una parentesi sui problemi sociali d’attualità come il tema dell’immigrazione e il modo in cui viene affrontato da alcuni partiti politici, affermando che proprio a partire da manifesti contro gli immigrati ed insulti rivolti alle persone di colore, agli omosessuali e a tutti coloro che vengono considerati “diversi” nascono l’odio e la diffamazione sociale.

Nello spettacolo teatrale è centrale il peso e il bisogno della memoria.

Ricordare è:
  • importante perché crea una base di esperienza da cui prendere le mosse per orientare le decisioni future;
  • è istruttivo perché ci aiuta a capire chi siamo;
  • è consolatorio perché richiamare alla mente momenti emozionanti del passato può essere molto utile alle volte.
Ma non è semplice ricordare soprattutto in determinati ambiti.

Ogni anno il 27 gennaio, giornata dedicata alla commemorazione delle vittime dell’Olocausto, viene riproposta una riflessione sulla memoria e sulla sua importanza a livello storico, sociale e culturale. E mentre il dibattito continua a muoversi tra chi sostiene che andrebbero ricordati tanti altri genocidi, chi si è stancato di parlare di questo perché è “roba vecchia”, chi continua a cercare un modo nuovo per parlarne, si perde di vista il valore e il senso della memoria che le persone sono chiamate a fare.

La Shoah non può essere spiegata solo appellandosi al razzismo ed alla follia di un uomo. Sì, c’è stato quello, ma c’è stato anche un contesto tragico e difficile a pesare sull’andamento della Storia come quello del Primo Dopoguerra e della crisi economica del ’29.

La mancanza di empatia è un meccanismo di difesa potentissimo quando si vive una situazione fisica ed emotiva difficile. È in questi momenti che bisognerebbe cercare di aggrapparsi agli ideali di fratellanza invece che agli egoismi individuali.

E questo si può fare solo se si ricorda, solo se si continua a sentire il peso della memoria e l’importanza di compiere la scelta idealmente e socialmente più giusta.

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