Contesto generale La novella di Cisti il fornaio è la seconda della sesta giornata del Decameron di Boccaccio. In questa giornata, tutte le novelle hanno un tema comune: il modo elegante e intelligente (con arte e garbo) con cui i personaggi riescono a rispondere a situazioni difficili, spesso grazie all’arguzia, alla prontezza di spirito o all’uso sapiente delle parole (i cosiddetti “motti”). La narratrice è Pampinea, una delle sette giovani protagoniste del Decameron, che introduce la novella con una riflessione: a volte la natura e la fortuna premiano persone di umili origini, dotandole di un'anima nobile e virtuosa, proprio come accade a Cisti. Trama in breve Cisti è un fornaio fiorentino, quindi un uomo del popolo, ma di grande eleganza, educazione e intelligenza. Egli possiede un ottimo vino bianco, che desidera offrire a Geri Spina, un nobile fiorentino che ogni giorno passa davanti alla sua bottega insieme agli ambasciatori di papa Bonifacio VIII. Cisti però sa che, ...
Risposta alla domanda: Che cos’è l’Illuminismo?
Immanuel Kant

Nel 1784, nel rispondere alla domanda posta da un mensile berlinese su “Che cos’è
l’Illuminismo?”, il filosofo tedesco Immanuel Kant espone in “Risposta alla domanda:
Che cos’è l’Illuminismo?” la sua idea di Illuminismo, inteso come coraggio di servirsi
della propria intelligenza e di praticare l’autonomia morale.
Per Kant, l’essere umano si trova, fin dalla nascita, in una situazione di “minorità”,
dalla quale ha il dovere morale di uscire per evolversi; quindi, attraverso questo manifesto, il filosofo affida all’Illuminismo il compito di condurre l’individuo a trovare il coraggio di fare uso del proprio intelletto senza la necessità di doversi appoggiare alla guida di un tutore.
In realtà, il breve saggio kantiano sull’Illuminismo esprime una concezione di
autonoma libertà positiva nella misura in cui poggia sull’invito all’emancipazione dalla guida altrui e alla rivendicazione della libertà di scelta nel senso più vasto.
Illuminismo, pertanto, va inteso non come un insegnamento da apprendere o da infondere né come una dottrina da professare, bensì come un coraggioso e risoluto atteggiamento ribelle nei confronti di qualsiasi tutore.
La minorità, infatti, è imputabile a se stessi quando essa dipende non da un “difetto
dell’intelletto”, ma da un “difetto di risolutezza e di coraggio nel servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro”.
Non è detto, tuttavia, che l'uomo sia animato dalla volontà di allontanarsi da questo
stato di minorità intellettuale, anzi, molto spesso, è determinato a restarci.
Secondo Kant, questo è dovuto alla pigrizia intellettuale e alla viltà dell’individuo.
Il soggetto trova così conveniente e comodo appoggiarsi sempre a qualcuno, avere
sempre tutto pronto senza impegnarsi a ragionare e, di conseguenza, non aver paura di sbagliare (perché sarà di qualcun altro la colpa).
Il filosofo tedesco, tuttavia, non manca a sottolineare che la libertà di pensiero, come
ogni cosa grande, ha in sé un prezzo: bisogna sforzarsi per adoperarla, faticare nella
navigazione oltre il “già detto” e il “già scritto”, essere disposti a soffrire poiché non
compresi oppure i propri ragionamenti ci hanno condotto a posizioni lontane da quelle
di partenza, posizioni che comportano cambiamenti radicali di natura politica,
esistenziale, sociale.
Il mutamento non si basa soltanto sulla libertà di pensiero, ma anche sul coraggio; si
deve avere il coraggio di esprimere le proprie opinioni, ma prima di parlare, bisogna
pensare, ragionare bene e lavorare su se stessi per uscire, come dice Kant, da questo
stato di minorità (“Sapere aude!”).
In Kant la secolare battaglia per la ragione e quella per l’autonomia individuale si
rafforzano reciprocamente e promuovono l’idea dell’autonomia razionale individuale,
al centro della sua teoria morale, ma anche della sua teoria del diritto e della politica.
Avvicinarsi alla teoria morale di Kant con le pagine del 1784, sull’esortazione al
coraggio dell’autonomia razionale individuale, permette di vederne il rigorismo e il formalismo in una luce unica: il rispetto dell’imperativo categorico diventa l’approdo
alla maggiore età, la pratica della libera razionalità individuale orientata in senso
universale.
Il rispetto morale kantiano si rivela come coraggio di servirsi individualmente della
ragione, non per perseguire interessi personali particolari, bensì di mettersi al servizio di quel che nell’interiorità personale si presenta come dovere universale.
Questo testo, scritto nel 1784, è molto attuale; infatti, si assiste al cosiddetto conformismo giovanile.
I giovani non sono più in grado di ragionare liberamente con spirito critico e, con la
diffusione delle nuove tecnologie, non si interrogano sulla attendibilità delle
informazioni che facilmente reperiscono da Internet.
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