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Dubliners by J.Joyce (riferimento a 'Eveline' e 'The dead')

“Dubliners” is a collection of fifteen short stories written by James Joyce in which the author analyses the failure of self-realisation of inhabitants of Dublin in biographical and in psychological ways. The novel was originally turned down by publishers because they considered it immoral for its portrait of the Irish city. Joyce treats in “Dubliners” the paralysis of will in four stages: childhood, youth, maturity and public life. The paralysis of will is the courage and self-knowledge that leads ordinary men and women to accept the limitations imposed by the social context they live in. In “Dubliners” the style is both realistic - to the degree of perfectly recreating characters and idioms of contemporary Dublin - and symbolic – giving the common object unforeseen depth and a new meaning in order to show a new view of reality. Joyce defines this effect “epiphany” which indicates that moment when a simple fact suddenly explodes with meaning and makes a person realise his / her condi

Le opere di Giovanni Boccaccio

La Caccia di Diana

È un poemetto in terzine e in 18 canti brevi, scritto nel 1334, quando Boccaccio volle celebrare alcune gentildonne napoletane del tempo, descrivendole come cacciatrici di Diana che insorgono contro la loro dea per passare al servizio della dea dell'amore, Venere.

L'allusione non va oltre la superficialità e la struttura dell'opera risente di echi tardo-stilnovisti e delle letture poetiche del giovane letterato di provincia ancora piuttosto grossolano, anche se capace nel descrittivismo e negli intenti decorativi di scene primaverili e di caccia, affreschi naturali e volti di donne.

Il filòcolo


È un romanzo in prosa, prolisso, in cui si narra l'amore tra Florio e Biancofiore che, solo dopo aver compiuto molte peregrinazioni e superato molti ostacoli, giungono a celebrare le sospirate nozze.

Il titolo, scorrettamente derivato dal greco, che evidentemente il giovane Boccaccio non ne aveva una conoscenza approfondita, vorrebbe significare  "fatica d'amore".

Scritto tra il 1336 ed il 1338, è ripreso nella sua trama di fondo da varie storie narrate in canti popolari ed in opere francesi e franco-italiane; la struttura narrativa è, invece, mutuata dalle letture dell'autore, dalla conoscenza della mitologia e della storia.

Oltre alla presentazione della propria formazione culturale robusta, anche se ancora non organica, questo romanzo offre spunti interessanti in quanto è una sorta di autobiografia sentimentale in cui narra del suo amore per Maria d'Aquino, che compare nelle opere del poeta con il nome di Fiammetta.

Lo stile è cucito sulle regole della sintassi retorica del Medioevo: a tratti artificioso, privo di vita, ridondante e giocato sul periodare lungo e complesso.

Questo stile compare anche in molte novelle del Decameron, soprattutto, nelle parti della "cornice" e nelle introduzioni alle singole storie, e influenzerà non poco l'evoluzione della letteratura italiana.

Il Teseida delle nozze di Emilia

È un poema eroico in ottave diviso in 12 libri e composto tra il 1339 ed il 1340.

Esso narra l'amore di due giovani, Palemone ed Arcita, per Emilia, sorella di Ippolita regina delle Amazzoni. I due rivali si misurano in una giostra: vince Arcita che però, ferito a morte, lascia a Palemone la donna amata. L'azione si svolge ad Atene, sotto il regno di Teseo (da cui il titolo).

L'opera è ispirata allo scrittore latino del I secolo d. C. Stazio.

I versi che compongono il poema sono circa 10 mila: Boccaccio voleva comporre un'opera in volgare ispirata all'epica dell'antichità classica ma riesce solo a creare un romanzo cavalleresco, avventuroso e drammatico, più vicino ai caratteri delle epopee cavalleresche francesi in voga all'epoca che alle opere latine.

La storia è preceduta da un sonetto a guisa di proemio e da una lettera in prosa di dedica a Fiammetta ed è conclusa da due sonetti di congedo.

Il filòstrato

È un poema in ottave, diviso in 9 parti e composto nel 1340 circa.

La storia è ambientata durante la guerra di Troia e narra l'amore di Troiolo, giovane troiano, per Criseida, prigioniera greca, la quale, liberata, accetta l'amore di Diomede.

Disperato, Troiolo sfida Achille che lo uccide.

Il titolo, scorrettamente derivato dal greco, vorrebbe significare "abbattuto da amore".

Questa è, però, un'opera che, rispetto alle precedenti, presenta minore ingombro d'erudizione e maggiore freschezza nell'analisi dei personaggi, elementi che pongono le basi per la grande poesia narrativa italiana che verrà, poi, ripresa da Luigi Pulci e Ludovico Ariosto.

Anche questo poema è preceduto da una lettera di dedica in prosa ad una Filomena - Giovanna, ispiratrice del canto.

I temi, trattati in maniera idillico - elegiaca, sono attraversati da una vena e borghese e popolaresca. L'ispirazione continua a provenire da varie fonti: oltre a quelle francesi e latine, soprattutto ovidiane, emergono elementi stilistici danteschi e tipici dei versi di Cino da Pistoia, insegnante di materie giuridiche per Boccaccio.

 

Il Ninfale d'Ameto

È un'opera costituita da 7 racconti in una cornice ordinata in 50 capitoli misti di prose e di terzine. Composta negli anni 1341-42, è la prima delle opere composte a Firenze e racconta di un rozzo pastore, Ameto, che si innamora della ninfa Lia e che ascolta compiaciuto il racconto che altre sei ninfe fanno dei propri rispettivi amori.

Attratto da tali racconti viene immerso dalle sette donne in una fonte purificatrice per essere trasformato da amante sensuale in amante spirituale.

Boccaccio vorrebbe così rappresentare l'innalzarsi dell'uomo dalla vita impura dei sensi a quella pura dello spirito, per opera delle sette virtù; ma non raggiunge il suo scopo, poiché finisce per essere vinto dalla stessa natura che lo spinge a narrare storie d'amore tutt'altro che spirituale.

L'opera è conosciuta anche con il titolo di Commedia delle Ninfe fiorentine, in cui "commedia" è un'espressione che dantescamente va intesa come opera mediocre dal punto di vista dello stile impiegato.

Attraversoe l'opera,Boccaccio si avvicina ancora di più alla soluzione della "cornice" che troverà la sua massima espressione in Decameron.

L'Amorosa visione

È un poema dottrinale in terzine, di 50 canti, composto nel 1342.

L'autore finge di incontrare in un meraviglioso castello Fiammetta che lo esorta a seguire la Virtù, abbandonando i diletti mondani. 

Il viaggio nel regno della Virtù, però, rimane allo stato di progetto e il poema si esaurisce nella colorita descrizione del castello favoloso dove si gioisce fra i beni terreni. E' curioso annotare che  le lettere iniziali di ogni terzina formano, in un vasto acrostico, tre sonetti di dedica, due a Madama Maria (Fiammetta) ed uno ai lettori.

La terzina non è certo un metro entro il quale Boccaccio si muove con disinvoltura; la composizione è fredda e stentata, risente troppo dell'erudizione e delle reminiscenze libresche che, espresse anche con approssimazione intellettualistica, eliminano ogni possibilità di slancio autonomo e spontaneo.

Il viaggio allegorico, ancora una volta, si conclude in maniera discordante rispetto a quelle che sembrano le iniziali intenzioni; la celebrazione finale non è rivolta alla Virtù ed all'amore spirituale, bensì all'amore sensuale.

L'Elegia di Madonna Fiammetta

È un romanzo epistolare formato da un prologo e 9 capitoli, composto nel 1343. La donna narra in prima persona la propria sofferenza per essere stata abbandonata dall'innamorato Panfilo, sotto il cui nome si cela, anche il altre opere, Boccaccio stesso nella sua storia d'amore con la bella nobildonna napoletana.

Il romanzo non è, nel complesso, un documento autobiografico, se non intimamente nell'indagine psicologica circa le sofferenze d'amore, in quanto era Boccaccio ad essere stato abbandonato da Maria d'Aquino, prima della sua partenza da Napoli (e quindi "Fiammetta" abbandona "Panfilo", nella trasposizione letteraria dei due personaggi).

Il Ninfale fiesolano

È un poema in 473 ottave, composto tra il 1344 ed il 1346.

Esso è la più viva e fresca fra le opere minori di Boccaccio. La trama è incentrata su come il pastore Affrico, innamoratosi di Mensola, ninfa di Diana, riesca ad avvicinare l'amata e a farsi da lei amare.

Egli, però, si suiciderà a seguito dell'abbandono di lei, presso un fiumicello che prenderà  il suo nome.

La ninfa, a sua volta, per essere venuta meno al proprio dovere di castità, è trasformata da Diana in un altro corso d'acqua, dopo aver messo al mondo un bambino di nome Pruneo che diverrà poi siniscalco del re Atlante, fondatore di Fiesole.

La storia pone le sue radici in leggende popolari e mitologiche, con alcuni accenni alle Metamorfosi di Ovidio. L'Affrico ed il Mensola sono due corsi d'acqua che scorrono tra Fiesole e Firenze.

L'ormai acquisita padronanza di una certa disinvoltura nel verseggiare, permette a Boccaccio, in quest'opera, di accostare i moduli aulici di composizione, propri del Dolce stil novo, ai toni realistici della tradizione giocosa e popolare che danno vita ad una valida favola sentimentale.

Il Corbaccio (o Labirinto d'amore)

Quest'opera, composta intorno al 1355, apre una breve stagione artistica di passaggio tra la fase della maturità, felice, inventiva e narrativa, e quella della vecchiaia, dedicata non ad opere originali ma a studi umanistici e severi.

Il significato del titolo principale è stato molto discusso: alcuni ritengono derivi dalla parola spagnola "corbacho", ovvero nerbo di bue, con il quale l'autore vorrebbe idealmente colpire, senza pietà, l'oggetto del livoroso racconto in questione; altri pensano che l'immagine del "corvo" sia ripresa dai bestiari medioevali che ritraevano il volatile come simbolo rapace della passione amorosa che acceca.

Il destinatario di questo libello risentito è una vedova della quale Boccaccio è probabilmente stato innamorato.

Respinto, si vendica con questo scritto misogino e piuttosto insolito per un autore come lui che aveva sempre avuto un occhio di riguardo per le donne, una lode speciale per la loro intelligenza ed un sorriso particolare per le loro furberie, soprattutto in campo erotico.

Qui invece è tutto ribaltato: se in molte opere Boccaccio si è spesso compiaciuto di descrivere con divertimento i tradimenti delle donne ai danni di mariti babbei, egli, toccato in prima persona, si scatena in un'invettiva antifemminile, rifacendosi alla poesia comico-realistica del tempo (Giovenale, San Gerolamo e Cecco Angiolieri) e all'esperimento delle "rime petrose" di Dante.

Nel racconto immagina che il defunto marito della donna gli appaia in sogno per svelargli tutti i difetti della moglie, passando, poi, ad enumerare e descrivere senza pietà quelli comuni a tutte le donne (creature infernali assetate di lussuria e ingrate).

La narrazione manca di serenità: essa è un vero e proprio sfogo di malumore che non può certo reggere il confronto con le stupende pagine della sua raccolta di novelle, più varie e di ampio respiro.

Le Rime

Boccaccio compose durante tutta la sua vita molti versi, in gran parte amorosi e contrapposti, secondo lo schema canonico e stilistico di Petrarca, e versi di contenuto morale e di pentimento per il tempo speso vanamente alla ricerca di gioie terrene.

L'autore non si preoccupò di raccogliere le sue poesie in un'opera unica, intuendo forse la mancanza di originalità e di interesse del lavoro che riprende esempi danteschi, stilnovisti e petrosi di Cavalcanti, Guinizelli, Cino da Pistoia e soprattutto dell'amico Petrarca.

Boccaccio inizia a comporre versi, soprattutto sonetti e ballate, durante il suo primo soggiorno napoletano e poi continua fino agli anni più tardi.

Le opere di erudizione

Nelle opere in latino Boccaccio amò dare sfoggio della propria erudizione. Si ricordano:

  • Bucolicum carmen, 16 egloghe allegoriche; 
  • De casibus virorum illustrium, in cui narra storie di antichi uomini illustri e sventurati;
  • De claris mulieribus, in cui racconta alcune biografie di donne illustri, dando alla donna tutta quell'importanza morale che con il Corbaccio aveva decisamente negato;
  • De montibus, silvis, fontibus, lacubus, fluminibus, stagnis et paludibus et denominibus maris, un trattato storico-geografico;
  • De Genealogiis deorum gentilium, dottissimo dizionario mitologico.

Le opere scritte in volgare, invece, da ricoradre sono gli scritti intorno a Dante:

  • Trattatello in laude di Dante (1352), una narrazione composta da alcune notizie autentiche sulla biografia di Dante (anche se un po' romanzate), con l'aggiunta di tutte le leggende generate dalla sua grandezza di uomo e di poeta;
  •  Commento alla "Commedia", contenente il testo delle sue sessanta lezioni sui primi 17 canti dell'Inferno, tenute negli ultimi tempi della sua vita. Con quest'opera Boccaccio intendeva renderne più facile la comprensione del poema didascalico-allegorico, mettendo a conoscenza il lettore di tutte le notizie di storia, di mitologia e di tutti i commenti e le chiose indispensabili per una giusta interpretazione della Commedia.

Il Decameron

Scritto tra il 1349 ed il 1353, il Decameron, una raccolta di cento novelle, è l'opera principale di Boccaccio.

Il titolo, ancora una volta ripreso dal greco, significa "Dieci giornate", ed è impostato sul modello di un'opera di S. Ambrogio, l'Hexameròn.

Dopo un "proemio", nel quale l'autore spiega la natura didattico - amorosa del libro che è dedicato alle donne innamorate, segue una lunga "introduzione" alla "Prima giornata" che spiega al lettore la "cornice" della raccolta di novelle, ovvero il pretesto per raccontarle ed il filo conduttore.

Durante la terribile peste del 1348, che colpì in particolar modo Firenze, nella chiesa di S. Maria Novella si incontrano 7 fanciulle e 3 uomini che, per sfuggire all'orrore del contagio, decidono di lasciare la città e di ritirarsi in una villa sulle colline dove, con 7 servi, stare organizzano danze, canti, banchetti e conversazioni.

In questo luogo di riparo (simbolo di evasione dal male del mondo) trovano posto le cento novelle raccontate nei dieci giorni dai dieci giovani che sono: la "reina", Pampinea, detta "la rigogliosa", Lauretta, Elissa, Fiammetta, Filomena, Emilia e Neifele, Panfilo, soprannominato "tutto amore", Filostrato e Dioneo, detto "il lussurioso".

La maggior parte dei personaggi, dai nomi letterari ed allusivi, appartiene al repertorio delle opere di Boccaccio.

Per un giorno un ragazzo o una ragazza della compagnia diventano il re o la regina e ha il compito di raccontare una novella.

Sebbene i novellatori siano semplicemente introdotti da Boccaccio come partecipanti del meccanismo dell'opera, l'onesta brigata appare vivace e piacevole, con i suoi canti e giochi, coi maliziosi sotterfugi che gli uni fanno agli altri, e con la sottigliezza colta ed aristocratica della loro conversazione.

Insieme a loro ci sono i servi, i quali non prendono parte all'azione ma fanno capolino con buffe e sguaiate apparizioni, come accade nell'episodio di Licisca e di Tindaro (Proemio alla VI Giornata) in cui la cucina e la volgarità dell'argomento di una lite dei domestici attirano l'attenzione della compagnia.

Le novelle sono 100 e le giornate sono 10, anche se, in realtà, la brigata si trattiene in campagna per 14 giorni (la domenica e il venerdì non si tengono adunanze, per un formale ossequio religioso).

In tutta l'opera compare uno stretto e preciso ordine simmetrico: le novelle sono raggruppate a dieci a dieci.

Nella I Giornata l'argomento è libero.

Nella II Giornata si devono descrivere casi di chi è riuscito, dopo molte traversie, a conquistare il lieto fine.

Nella III Giornata si ragiona su chi ritrova cose perdute o desiderate.

Nella IV Giornata si racconta degli amori infelici.

Nella V Giornata vengono descritte le felicità raggiunte dopo molti affanni.

Nella VI Giornata si parla di chi si è salvato con una pronta risposta da una situazione difficile.

Nella VII Giornata l'argomento riguarda le beffe fatte dalle mogli ai mariti.

Nell' VIII Giornata si raccontano casi di beffe tra uomini e donne, o tra uomini e uomini.

Nella IX Giornata l'argomento è libero.

Nella X Giornata si raccontano magnifici fatti d'amore.

Alla fine di ogni giornata, uno degli interlocutori canta una ballata o una canzonetta.

Il sentimento dominante nel Decameron è, come in quasi tutte le altre opere di Boccaccio, l'amore; l'amore intero e non velato da idealità, l'amore dei sensi, l'amore per la donna visto in tutti i suoi aspetti, intimi, comici, profondi, paradossali, e soprattutto coniugali. Quest' ultimi sono considerati in tono pessimistico e vengono irrimediabilmente sconfitti dall'amore istintivo poiché prevale sulle convenzioni sociali.

Mogli fedeli ne esistono poche nel libro: si sente la sensualità erotica di cui Boccaccio fu capace in gioventù, la sua fine ironia e il sottile scetticismo in fatto d'amore.

In qualche novella, però, l'autore fa capire che l'amore si può sollevare dal più basso sensualismo per diventare sentimento capace di mutare il corso degli eventi o l'intimità dell'animo umano.

Boccaccio, pur avendo dato largo sfogo alla sua fantasia di sana sensualità, teneva a dare un contenuto serio alla sua opera e volle dividere nettamente il mondo inventato e raccontato nelle cento novelle da quello dei raccontatori e delle raccontatrici che tengono il più corretto e nobile contegno.

Nella conclusione dell'opera, Boccaccio, con intento polemico, si scagiona dalle accuse di oscenità e giustifica la libertà di parola da lui usata.

Ribatte anche la critica che gli era stata mossa circa l'eccessiva lunghezza di alcune novelle, la prolissità e l'enfasi di certi sfoggi di retorica, un po' fuori luogo.

D'altra parte nel Decameron troviamo fusi tutti gli aspetti della personalità dell'uomo Boccaccio: l'erudito, il cortigiano, il narratore scanzonato ed attento ai particolari, l'osservatore, l'uomo di studio e di mondo, l'innamorato e il beffardo.

La fama delle novelle del Boccaccio è stata immensa ed ha avuto larga importanza sullo svolgimento della letteratura narrativa delle altre nazioni.

Già nel secolo XIV stesso, l'inglese Geoffrey Chaucer imitò Boccaccio nelle sue opere e tradusse la versione latina della novella di Griselda in inglese.

Il Decameron ai primi del secolo XV era già stato tradotto in francese, in catalano e spagnolo; durante la prima metà di quel secolo anche in tedesco.

Il poeta inglese Keats, nel secolo XIX, trasformò la novella di Lisabetta da Messina (la 5° della IV Giornata) in un'affascinante storia poetica di amore e di morte.

Si arriva fino a Gabriele D'Annunzio che rifece parte in italiano e parte in abruzzese, in una de Le Novelle della Pescara, la Novella di Calandrino e del porco rubato (la 6° dell' VIII Giornata).

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