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Dubliners by J.Joyce (riferimento a 'Eveline' e 'The dead')

“Dubliners” is a collection of fifteen short stories written by James Joyce in which the author analyses the failure of self-realisation of inhabitants of Dublin in biographical and in psychological ways. The novel was originally turned down by publishers because they considered it immoral for its portrait of the Irish city. Joyce treats in “Dubliners” the paralysis of will in four stages: childhood, youth, maturity and public life. The paralysis of will is the courage and self-knowledge that leads ordinary men and women to accept the limitations imposed by the social context they live in. In “Dubliners” the style is both realistic - to the degree of perfectly recreating characters and idioms of contemporary Dublin - and symbolic – giving the common object unforeseen depth and a new meaning in order to show a new view of reality. Joyce defines this effect “epiphany” which indicates that moment when a simple fact suddenly explodes with meaning and makes a person realise his / her condi

L' amore e la donna nelle correnti letterarie sviluppatesi in Europa tra il XI e XIII secolo e nell'età contemporanea

Lettrice

La poesia provenzale si sviluppa nelle corti della Francia meridionale verso la fine dell'XI secolo.
La sua caratteristica fondamentale è il carattere interclassista in quanto con essa si cimentano re, principi, feudatari ed anche cavalieri, monaci, borghesi fino ad artigiani e giullari.
Nella poesia provenzale, dunque, tutti obbediscono ad un codice comune di temi, di linguaggio e di forme.
Essa è destinata al canto, per cui il poeta era al tempo stesso autore del testo verbale e della musica, creando un componimento detto canzone.
La canzone narra  fatti di attualità o circostanze particolari.
Il tema privilegiato dalla lirica provenzale è l' "amore perfetto" o fin' amour, un amore che implica una distanza incolmabile tra il poeta e la dama, creando un desiderio destinato a rimanere irrealizzabile.
La donna, generalmente, appartiene ad una classe sociale molto agiata, mentre il poeta è relegato al ruolo di vassallo.

Lirica provenzale

Il desiderio tra l'amata ed il vassallo diventa fonte inesauribile di evoluzione personale e sociale dell'amante.
La distanza è globale e può essere anche geografica e, quindi, rimane incolmabile tra i due amanti(il cosiddetto "amore lontano" o amor de lonh).

La poesia provenzale si trapianta in Sicilia e dà luogo alla Scuola Siciliana all'interno della corte di Federico II di Svevia.
Anche la poesia siciliana è espressione di un gruppo unito e per lo più omogeneo per posizione sociale e professionale (avvocati, notai, ecc...).
Essa adotta come lingua il "siciliano illustre", aperto ad influenze latine e provenzali e permane il tema dell'amore irraggiungibile.
A differenza della poesia provenzale, vengono esclusi eventi di attualità in ossequio alla monarchia governante.

Scuola Siciliana

Nella poesia siciliana rimangono i criteri fondamentali della poesia provenzale come la fedeltà incondizionata all'amata, la segretezza del sentimento spesso non corrisposto e la speranza del guiderdone, ossia di ricevere da parte della donna devozione e riconoscenza.
Sicuramente, rispetto ai trobadores o trovatori, i poeti appartenenti a questa scuola mostrano una maggiore capacità di analisi e di introspezione psicologica.
Tuttavia, in questo contesto culturale si crea un gruppo di poeti che, nelle loro opere, capovolgono tutte le tematiche, i canoni letterari e gli stessi temi in cui si cimentano gli altri poeti appartenenti alla Scuola siciliana.
Uno dei più importanti poeti appartenente a questo gruppo è Cielo d'Alcamo.

Ritratto di Cielo d'Alcamo Ritratto di Cielo d'Alcamo

Cielo d'Alcamo si differenzia dagli altri poeti per la sua spiccata personalità e, molto probabilmente, per la sua professione da giullare che gli permette di rovesciare le tematiche e i canoni trattati nella poesia siciliana.
Un esempio eclatante è la famosissima lirica "Rosa fresca aulentissima", della quale viene riportato il testo.

Testo

1«Rosa fresca aulentis[s]ima ch’apari inver’ la state,
2. le donne ti disiano, pulzell’ e maritate:
3. tràgemi d’este focora, se t’este a bolontate;
4. per te non ajo abento notte e dia,
5. penzando pur di voi, madonna mia».

6. «Se di meve trabàgliti, follia lo ti fa fare.
7. Lo mar potresti arompere, a venti asemenare,
8. l’abere d’esto secolo tut[t]o quanto asembrare:
9. avere me non pòteri a esto monno;
10. avanti li cavelli m’aritonno».

11. «Se li cavelli artón[n]iti, avanti foss’io morto,
12. ca’n is[s]i [sí] mi pèrdera lo solacc[i]o e ’l diporto.
13. Quando ci passo e véjoti, rosa fresca de l’orto,
14. bono conforto dónimi tut[t]ore:
15. poniamo che s’ajúnga il nostro amore».

16. «Che ’l nostro amore ajúngasi, non boglio m’atalenti:
17. se ci ti trova pàremo cogli altri miei parenti,
18. guarda non t’ar[i]golgano questi forti cor[r]enti.
19. Como ti seppe bona la venuta,
20. consiglio che ti guardi a la partuta».

21. «Se i tuoi parenti trova[n]mi, e che mi pozzon fare?
22. Una difensa mèt[t]onci di dumili’ agostari:
23. non mi toc[c]ara pàdreto per quanto avere ha ’n [Bari.
24. Viva lo ‘mperadore, graz[i’] a Deo!
25. Intendi, bella, quel che ti dico eo?»

26. «Tu me no lasci vivere né sera né maitino.
27. Donna mi so’ di pèrperi, d’auro massamotino.
28. Se tanto aver donàssemi quanto ha lo Saladino,
29. e per ajunta quant’ha lo soldano,
30. toc[c]are me non pòteri a la mano».

31. «Molte sono le femine c’hanno dura la testa,
32. e l’omo con parabole l’adímina e amonesta:
33. tanto intorno procazzala fin che•ll’ha in sua podesta.
34. Femina d’omo non si può tenere:
35. guàrdati, bella, pur de ripentere».

36. «K’eo ne [pur ri]pentésseme? davanti foss’io aucisa
37. ca nulla bona femina per me fosse ripresa!
38. [A]ersera passàstici, cor[r]enno a la distesa.
39. Aquístati riposa, canzonieri:
40. le tue parole a me non piac[c]ion gueri».

41. «Quante sono le schiantora che m’ha’ mise a lo core,
42. e solo purpenzànnome la dia quanno vo fore!
43. Femina d’esto secolo tanto non amai ancore
44. quant’amo teve, rosa invidïata:
45. ben credo che mi fosti distinata».

46. «Se distinata fósseti, caderia de l’altezze,
47. ché male messe fòrano in teve mie bellezze.
48. Se tut[t]o adiveníssemi, tagliàrami le trezze,
49. e consore m’arenno a una magione,
50. avanti che m’artoc[c]hi ’n la persone».

51. «Se tu consore arènneti, donna col viso cleri,
52. a lo mostero vènoci e rènnomi confleri:
53. per tanta prova vencerti fàralo volontieri.
54. Conteco stao la sera e lo maitino:
55. Besogn’è ch’io ti tenga al meo dimino».

56. «Boimè tapina misera, com’ao reo distinato!
57. Geso Cristo l’altissimo del tut[t]o m’è airato:
58. concepístimi a abàttare in omo blestiemato.
59. Cerca la terra ch’este gran[n]e assai,
60. chiú bella donna di me troverai».

61. «Cercat’ajo Calabr[ï]a, Toscana e Lombardia,
62. Puglia, Costantinopoli, Genoa, Pisa e Soria,
63. Lamagna e Babilonïa [e] tut[t]a Barberia:
64. donna non [ci] trovai tanto cortese,
65. per che sovrana di meve te prese».

66. «Poi tanto trabagliàsti[ti], fac[c]ioti meo pregheri
67. che tu vadi adomàn[n]imi a mia mare e a mon peri.
68. Se dare mi ti degnano, menami a lo mosteri,
69. e sposami davanti da la jente;
70. e poi farò le tuo comannamente».

71. «Di ciò che dici, vítama, neiente non ti bale,
72. ca de le tuo parabole fatto n’ho ponti e scale.
73. Penne penzasti met[t]ere, sonti cadute l’ale;
74. e dato t’ajo la bolta sot[t]ana.
75. Dunque, se po[t]i, tèniti villana».

76. «En paura non met[t]ermi di nullo manganiello:
77. istòmi ’n esta grorïa d’esto forte castiello;
78. prezzo le tuo parabole meno che d’un zitello.
79. Se tu no levi e va’tine di quaci,
80. se tu ci fosse morto, ben mi chiaci».
 
Questa poesia rivela l ' abilità dell'autore nel costruire, attraverso la meccanica successione delle strofe di "botta e risposta", un vero e proprio movimento drammaturgico.
Questo componimento/parodia scaturisce dalla approfondita conoscenza da parte dell'autore delle caratteristiche dell'amor cortese e alla capacità dello stesso di ironizzare sulla tematica amorosa ricorrendo contemporaneamente ad un linguaggio "aulico-cortese" e ad un linguaggio vernacolare.
In questa poesia, infatti, un uomo (forse un giullare) tenta di sedurre una giovane popolana usando un linguaggio e una retorica degni di una canzone cortese d'amore, ma anche con frequenti cadute in un linguaggio grossolano.
Alle battute del seduttore si alternano le repliche della ragazza in un gioco divertito e malizioso di seduzioni e rifiuti, durante il quale la popolana oppone una resistenza sempre meno convinta, fino alla resa finale.

Successivamente, anche in Toscana si sviluppa una forma di letteratura che si pone come tematiche però, oltre al "fin' amour", anche i problemi laici in considerazione dei numerosi bisogni e problemi sociali del tempo.
Nel XII secolo nasce il "Dolce Stil Novo".
In questo movimento letterario la donna non è una "domina", una castellana, ma è vista come un angelo disceso dal cielo col compito di avvicinare l'uomo a Dio, anticipazione di ciò che realizzerà Dante nella cantica del Paradiso della "Divina Commedia".
Non c'è più passione carnale ma un sentimento platonico; non c'è più nobiltà di sangue ma nobiltà d'animo.
Guido Guinizelli (o Guinizzelli), uno dei più importanti poeti del "Dolce Stil Novo", infatti, vede la donna come un mezzo per arrivare a Dio.

 Guido Guinizelli

Nella canzone "Al cor gentil rempaira sempre amore" emerge l'ideologia stilnovista incentrata sull'identificazione tra "amore" e "cor gentil"e ribadisce il principio che l'aristocrazia è spirituale, interiore e non scaturisce dalla nascita o dalla ricchezza.
Pertanto, "gentil" è colui che è nobile di cuore e, quindi, capace di provare sentimenti elevati.
La donna amata è, così, sempre gentile ed esprime tale dote in tante virtù sia fisiche che spirituali come la bellezza, la grazia, la benevolenza, l'umiltà e la bontà.
La gentilezza d'animo, dunque, è considerata vera nobiltà, molto di più di un semplice nome illustre o di un enorme patrimonio.
Si riporta il testo della poesia.

Testo

Al cor gentil rempaira sempre amore
come l’ausello in selva a la verdura;
né fe’ amor anti che gentil core,
né gentil core anti ch’amor, natura:
ch’adesso con’ fu ’l sole,
sì tosto lo splendore fu lucente,
né fu davanti ’l sole;
e prende amore in gentilezza loco
così propïamente
come calore in clarità di foco.

Foco d’amore in gentil cor s’aprende
come vertute in petra prezïosa,
che da la stella valor no i discende
anti che ’l sol la faccia gentil cosa;
poi che n’ha tratto fòre
per sua forza lo sol ciò che li è vile,
stella li dà valore:
così lo cor ch’è fatto da natura
asletto, pur, gentile,
donna a guisa di stella lo ’nnamora.

Amor per tal ragion sta ’n cor gentile
per qual lo foco in cima del doplero:
splendeli al su’ diletto, clar, sottile;
no li stari’ altra guisa, tant’è fero.
Così prava natura
recontra amor come fa l’aigua il foco
caldo, per la freddura.
Amore in gentil cor prende rivera
per suo consimel loco
com’ adamàs del ferro in la minera.

Fere lo sol lo fango tutto ’l giorno:
vile reman, né ’l sol perde calore;
dis’ omo alter: «Gentil per sclatta torno»;
lui semblo al fango, al sol gentil valore:
ché non dé dar om fé
che gentilezza sia fòr di coraggio
in degnità d’ere’
sed a vertute non ha gentil core,
com’ aigua porta raggio
e ’l ciel riten le stelle e lo splendore.

Splende ’n la ’ntelligenzïa del cielo
Deo crïator più che [’n] nostr’occhi ’l sole:
ella intende suo fattor oltra ’l cielo,
e ’l ciel volgiando, a Lui obedir tole;
e con’ segue, al primero,
del giusto Deo beato compimento,
così dar dovria, al vero,
la bella donna, poi che [’n] gli occhi splende
del suo gentil, talento
che mai di lei obedir non si disprende.

Donna, Deo mi dirà: «Che presomisti?»,
sïando l’alma mia a lui davanti.
«Lo ciel passasti e ’nfin a Me venisti
e desti in vano amor Me per semblanti:
ch’a Me conven le laude
e a la reina del regname degno,
per cui cessa onne fraude».
Dir Li porò: «Tenne d’angel sembianza
che fosse del Tuo regno;
non me fu fallo, s’in lei posi amanza».

Guido Cavalcanti, un altro poeta appartenente al "Dolce Stil Novo", invece, affronta nelle sue poesie, soprattutto in "Voi che per li occhi mi passate  'l core" il tema del disfacimento dell'uomo colpito dalla visione della donna.

Voi che per li occhi mi passaste 'l core-testo Voi che per li occhi mi passaste 'l core- testo


Egli, come Guinizelli nel sonetto "Lo vostro bel saluto e 'l gentil sguardo", si sofferma sull'importanza dello sguardo della donna che, tramite esso, provoca la massima attenzione degli uomini che la ammirano.

 Guido Cavalcanti

Esso è tagliente come una spada e devasta il cuore e la mente dell'innamorato.
Per Cavalcanti la donna non è gentile ma spietata e crudele ed è in grado di condurre l'uomo sull'orlo della morte.
Il personaggio determinante, dunque, in Cavalcanti è l'amore, sentimento che si intromette tra la donna e l'amante.
Esso può cambiare di volta in volta ed essere dalla parte dell'amante o distruggerne  la vita fino a trasformarlo in un automa.
Cavalcanti, dunque, analizza la vita intima del soggetto ed interiorizza i sentimenti di colui che ama, un processo del tutto nuovo rispetto alle forme di letteratura precedenti che si occupavano principalmente di come venivano esteriorizzati i gesti d'amore diretti alla donna amata.

Attualmente, però, la donna non è più idealizzata poiché il sentimento dell'amore si esprime in modo diretto, concreto e reale.
Non c'è più il corteggiamento né delle delicate avances.
Il rapporto è spesso solo istintivo, privo di sentimenti.
Il filosofo Blaise Pascal evidenzia nella citazione "Il cuore conosce ragioni che la ragione non conosce" la capacità del cuore e dei sentimenti di avere mille sfumature che vanno al di là della ragione.
Purtroppo, le donne sono spesso oggetto di violenza psichica e fisica da parte dell'uomo.
Non è più, purtroppo, il tempo in cui il grande poeta latino Gaio Valerio Catullo, sentendosi ferito dal comportamento dell'amata Lesbia, donna colta, affascinante e volubile, le rivolge in un dialogo immaginario tutta la sua amarezza.
Con rimpianto ricorda l'inizio della loro relazione in "Un tempo dicevi" (carme 70).
Questa poesia è una delle più famose nella letteratura di tutti i tempi.
Il rapporto tra Lesbia e Catullo dà vita ad una storia d'amore profonda e, allo stesso tempo, conflittuale e tormentata.
Le emozioni e i desideri contrastanti delle due personalità esaltano la complessità, la ricchezza e l'intensità di questa poesia fino a creare antitesi tra il desiderio appassionato per lei e l'interrogarsi sulle sue qualità morali.
In lui si scatenano una molteplicità di sentimenti: dal desiderio carnale alla gelosia, da un possesso di lei ancora più forte e, contemporaneamente, alla volontà di allontanarsi da lei in quanto è superficiale, leggera ed infedele.
Il poeta medita l'impossibilità di poter nutrire in sé per lei un sentimento di affetto completo e maturo, al di là della semplice attrazione fisica.
Pertanto, pur amandola, Catullo decide di allontanarla.
Si riporta la traduzione dal latino del carme 70.

Testo

Dicevi un tempo di conoscere solo il tuo Catullo, Lesbia,

né volevi per me stringerti a Giove.

Cara ti tenni allora: e non soltanto come la gente l’amica,

ma come cari un padre tiene i figli e i generi.

Ora so chi tu sei: ed anche se brucio più forte, tu sei molto più vile, più trascurabile.

– Come può essere? – chiedi. È che una tale ingiustizia

l’amante costringe ad amare di più, ma a volere meno bene.

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