“Dubliners” is a collection of fifteen short stories written by James Joyce in which the author analyses the failure of self-realisation of inhabitants of Dublin in biographical and in psychological ways. The novel was originally turned down by publishers because they considered it immoral for its portrait of the Irish city. Joyce treats in “Dubliners” the paralysis of will in four stages: childhood, youth, maturity and public life. The paralysis of will is the courage and self-knowledge that leads ordinary men and women to accept the limitations imposed by the social context they live in. In “Dubliners” the style is both realistic - to the degree of perfectly recreating characters and idioms of contemporary Dublin - and symbolic – giving the common object unforeseen depth and a new meaning in order to show a new view of reality. Joyce defines this effect “epiphany” which indicates that moment when a simple fact suddenly explodes with meaning and makes a person realise his / her condi
Testo
Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond’io nudriva ’l core
in sul mio primo giovenile errore
quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono,
del vario stile in ch’io piango et ragiono
fra le vane speranze e ’l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.
Ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;
et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto,
e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.
Parafrasi
Voi che ascoltate in questi frammenti poetici il suono
di quei sospiri di cui alimentavo il mio cuore
al tempo delle mie pazzie giovanili
quando ero in parte un uomo diverso da quello che sono oggi,
se fra voi c'è chi comprende l'amore per esperienza,
spero di trovare pietà e perdono per lo stile vario
in cui piango e parlo, combattuto fra le speranze
e le sofferenze parimenti vane, inconcludenti.
Ma ora capisco bene come per molto tempo
io fui oggetto di derisione per tutto il popolo,
cosa di cui spesso mi vergogno con me stesso;
e dal mio antico vaneggiare nasce pentimento,vergogna,
e la chiara coscienza che tutto ciò che piace al mondo è un sogno fugace.
Analisi del testo
"Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono" è il sonetto introduttivo della più importante opera di Francesco Petrarca, "Canzoniere", scritto in versi endecasillabi con schema metrico a rima incrociata ABBA ABBA per le quartine e a rima ripetuta CDE CDE per le terzine.
Il sonetto ha valore nell'opera, infatti, di proemio e svolge due ruoli importanti: introduce il lettore all'argomento che l'autore tratterà e, allo stesso tempo, gli fornisce gli elementi interpretativi per comprenderlo.
Il poeta aretino fa un consuntivo della propria esperienza amorosa affermando che questo "primo giovanile errore", l'amore per una donna terrena (Laura) lo ha fuorviato e allontanato dall'amore per Dio.
Egli, pertanto, attraverso l'anacoluto (un costrutto sintattico per cui il primo elemento appare, rispetto ai successivi, incoerente e messo in rilievo) presente nei primi versi, si rivolge a chi ha amato ed ha provato gli stessi suoi sentimenti; quindi, parla a chi ha conosciuto il significato intrinseco dell'amore, nella speranza di essere compreso, in quanto è combattuto tra illusorie speranze e profonde sofferenze.
A questo punto, Petrarca afferma quanto si sia pentito dei suoi comportamenti in gioventù ora che ha capito quanto si sia reso ridicolo agli occhi della gente.
È dalla molteplicità di questi sentimenti che nasce un'infinita vergogna ed un profondo pentimento per aver avuto un comportamento superficiale ed inadeguato.
Ora, però, il poeta, dopo aver superato (solo in parte) la propria debolezza, si ritiene una persona più matura, equilibrata, libera, che non si lascia coinvolgere dalla futilità dei piaceri terreni.
In realtà, il pensiero fondamentale che l'autore vuole sottolineare è che tutte le esperienze, soprattutto quelle dolorose rese tali da obbiettivi terreni limitati ed irraggiungibili in alcuni casi, caratterizzano profondamente la vita dell'uomo.
Nel momento, però, che uno ne diventa consapevole, allora si redime, non vaneggia più ed acquista una maturità tale da capire che quello che piace a questo mondo è una breve illusione.
La struttura sintattica delle quartine è molto elaborata: è presente il vocativo di apertura "voi" (verso 1) seguito da una serie di subordinate, il cui soggetto è spesso l'io; infatti, lo si può notare a partire dal verso 2 per sottolineare il processo interiore del poeta stesso, senza, però, nominare la donna amata (Laura).
La prima terzina viene introdotta dalla avversativa "ma" che segna il passaggio da una condizione di vita ad una diversa disposizione interiore.
Al verso 11 è evidente l'allitterazione della lettera m, la ripetizione dei pronomi personali di prima persona e il poliptoto "di me medesmo meco mi vergogno".
Nell'ultima terzina Petrarca evidenzia la sua angoscia attraverso una serie di coordinate per polisindeto nei versi 14 e 15 "et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto, e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente".
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