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Dubliners by J.Joyce (riferimento a 'Eveline' e 'The dead')

“Dubliners” is a collection of fifteen short stories written by James Joyce in which the author analyses the failure of self-realisation of inhabitants of Dublin in biographical and in psychological ways. The novel was originally turned down by publishers because they considered it immoral for its portrait of the Irish city. Joyce treats in “Dubliners” the paralysis of will in four stages: childhood, youth, maturity and public life. The paralysis of will is the courage and self-knowledge that leads ordinary men and women to accept the limitations imposed by the social context they live in. In “Dubliners” the style is both realistic - to the degree of perfectly recreating characters and idioms of contemporary Dublin - and symbolic – giving the common object unforeseen depth and a new meaning in order to show a new view of reality. Joyce defines this effect “epiphany” which indicates that moment when a simple fact suddenly explodes with meaning and makes a person realise his / her condi

Fair play

A pochi metri dal traguardo della gara dei 5000 metri, l’atleta di Aruba Jonathan Busby è stramazzato al suolo per il caldo e la fatica. Ad aiutarlo ad arrivare fino in fondo ci ha pensato il guineano Braima Sunclar Dabó, che lo ha rialzato da terra e lo ha sorretto fino al taglio del nastro. Il tutto davanti agli sguardi pieni di commozione del pubblico del Khalifa Stadium di Doha


Il concetto di fair play, inteso come gioco praticato lealmente, nasce in Inghilterra nell’Ottocento.
Gli aristocratici inglesi, nel tempo libero, organizzavano e partecipavano a competizioni sportive, soprattutto il calcio.
In Inghilterra, inizialmente, il calcio era una delle attività di svago a cui era un onore partecipare ma, nel 1871, quando l’ammissione alla coppa del campionato britannico (FA Cup) fu estesa a tutte le squadre, comprese quelle della classe operaia, fu necessaria l’introduzione di un controllo esterno: l’arbitro.
Il gioco ebbe grande successo, ma cominciava ad essere visto come una guerra tra classi e si dovettero introdurre anche calci di punizioni e rigori (1877) per limitare il gioco scorretto.
Con il passare del tempo, introducendo nuove norme che stimolarono i giocatori ad assumere un comportamento basato sul rispetto di se stessi, degli altri e delle regole, oltre agli ideali di amicizia e dello spirito sportivo, si costruì gradualmente il concetto di fair play.
Esso, infatti, genera reciproca fiducia, favorisce la socializzazione, avvicina le persone fornendo occasioni di conoscenza e di amicizia anche tra individui di diverse origini culturali.

Il fair play raggiunge la sua massima importanza e diffusione nel mondo sportivo nel 1975 con la promulgazione da parte del C.I.F.P. (Comitato Internazionale Fair Play) della “Carta del Fair Play”, un decalogo di comportamenti leali:

1. Fare di ogni incontro sportivo, indipendentemente dalla posta e dalla importanza della competizione, un momento privilegiato, una specie di festa;

2. Conformarmi alle regole e allo spirito dello sport praticato;

3. Rispettare i miei avversari come me stesso;

4. Accettare le decisioni degli arbitri o dei giudici sportivi, sapendo che, come me, hanno diritto all’errore, ma fanno tutto il possibile per non commetterlo;

5. Evitare le cattiverie e le aggressioni nei miei atti, e mie parole o miei scritti;

6. Non usare artifici o inganni per ottenere il successo;

7. Rimanere degno della vittoria, così come nella sconfitta;

8. Aiutare chiunque con la mia presenza, la mia esperienza e la mia comprensione;

9. Portare aiuto a ogni sportivo ferito o la cui vita sia in pericolo;

10. Essere un vero ambasciatore dello sport, aiutando a far rispettare intorno a me i principi suddetti.

Applicato inizialmente nelle competizioni sportive, il concetto di fair play si è diffuso anche nei rapporti sociali e in ambito politico, diventando non solo un modo di comportarsi, ma, soprattutto, un modo di pensare.
Il concetto di fair play, infatti, ha iniziato anche ad avere un riconoscimento nell’ambito della politica e delle istituzioni.
Il Consiglio d’Europa, costituito per l’occasione dai ministri dello sport, ha approvato nel corso della Conferenza di Rodi del maggio 1992 il “Codice Europeo di Etica Sportiva” che, pur non fissando norme o regolamenti, disegna un quadro etico di riferimento in grado di portare alla diffusione di una mentalità sportiva condivisa e necessaria in ogni attività sportiva.

Il fair play, pertanto, è lo spirito sportivo, è la sintesi di tutte le considerazioni etiche, non è un elemento accessorio.
Esso deve caratterizzare l’approccio alla disciplina sportiva a tutti i livelli di abilità e impegno, dallo sport ricreativo a quello professionistico con rilevanti interessi economici.
Il lato educativo, formativo e sociale dello sport si mostra in tutta la sua forza soltanto quando il fair play viene posto al centro dell’attenzione di tutti, praticanti e non, e diventa essenziale e comune in ogni attività sportiva.
Il fair play, quindi, coinvolge non solo chi svolge attività sportive agonistiche o di gruppo, come gli atleti, ma tutti coloro che partecipano attivamente nel mondo dello sport, come le associazioni sportive e, addirittura, i tifosi.

Il punto 6 dei “Principi fondamentali della Carta Olimpica”, statuto dell’ordinamento sportivo internazionale, recita testualmente: “Le società e le associazioni sportive sono soggetti dell’ordinamento sportivo e devono esercitare con lealtà sportiva le loro attività, osservando i principi, le norme e le consuetudini sportive, nonché salvaguardando la funzione popolare, educativa, sociale e culturale dello sport”.

Il fair play consente di individuare i connotati benefici dello sport ed è ciò che attribuisce un alto riconoscimento sociale e morale allo stesso movimento sportivo, partendo dai dirigenti fino agli atleti, in particolare quelli che praticano l’attività sportiva ai più alti livelli.
Essi per primi devono fornire sani modelli comportamentali ai giovani e metterli in pratica durante lo svolgimento dell’attività sportiva.

Il fair play diventa un criterio guida al quale deve essere attribuita la massima priorità da tutti coloro che emanano regole sportive (enti e organizzazioni nazionali ed internazionali rappresentativi dello sport e delle singole discipline sportive) e che le devono applicare (le società sportive, gli istituti di formazione, gli organi delle professioni sanitarie e farmaceutiche), da chi vive nel mondo dello sport (i mezzi di comunicazione di massa, i rappresentanti dei settori commerciali tradizionalmente legati allo sport), ed, infine, dai singoli soggetti (genitori, insegnanti, allenatori, arbitri, giudici di gara, dirigenti sportivi, giornalisti).

La spontanea manifestazione della lealtà sportiva, purtuttavia, tende a scomparire di fronte ad uno sport recentemente esasperato dalla competizione e dagli interessi economici sempre più forti.
Per questo motivo, di recente, il comportamento leale è diventato una regola giuridica prevista e disciplinata ormai in tutti i “Regolamenti della Giustizia sportiva”, e, come tale, sanzionata dalla Giustizia sportiva, che proprio per le sanzioni nei confronti di chi non rispetta quest’obbligo si differenzia da quella ordinaria.

Al fine di promuovere su vasta scala il fair play, non di rado le federazioni sportive hanno fatto ricorso a slogan quali “No to racism” («no al razzismo») e “My game is fair play” («il mio gioco è corretto»).



Inoltre, è stata indetta la “Giornata mondiale dello Sport per lo Sviluppo e la Pace”, celebrata il 6 aprile, un evento a cadenza annuale, nato per sensibilizzare l'opinione pubblica sui valori e sull'importanza per la coesione sociale.

Sempre per raggiungere tale obbiettivo, vengono insigniti di importanti premi e onorificenze coloro che si sono contraddistinti per aver rispettato i principi del fair play:


  • Il Premio Gentleman, nato nel 1996, premia coloro che si sono distinti nel calcio e nelle altre attività sportive, andando oltre il semplice gesto tecnico e il risultato finale, promuovendo valori più profondi come il rispetto, l’etica, la sportività;
  • Il “Premio Internazionale Fair Play Mecenate (o Menarini)”, istituzionalizzato nel 1997, consiste in una targa, ideata da un designer aretino, rappresentante la figura di Mecenate ed il simbolo del fair play (la stretta di mano). Esso viene assegnato ad importanti e significativi personaggi, Istituzioni Sportive Nazionali ed Internazionali per iniziative e comportamenti di rilievo in settori che legano sport a società civile e che rappresentano valenze di alto livello morale nel settore specifico del fair play.
Viene, inoltre, assegnata ai premiati la qualifica di "ambasciatore fair play" con la Spilla Fair Play.
Numerosi sono i riconoscimenti per coloro che si sono contraddistinti per episodi particolarmente significativi di fair play.

Un gesto famoso ancora oggi, realizzato da un calciatore molto poco “politically correct”, è quello di Paolo Di Caino. Quando giocava nella squadra londinese del West Ham, l’attaccante ex Lazio e Milan ricevette l’ovazione dello stadio dell’Everton per aver fermato con le mani un pallone che poteva tranquillamente calciare in rete. Motivo? Il portiere avversario era rimasto a terra infortunato molto lontano dai pali. Un gesto, questo, che gli è valso il premio Fair Play della FIFA.


Un altro riconoscimento di fair play si verificato nel poker sportivo.

Molti considerano il poker un gioco opportunistico, senza valori. Questa visione non è condivisa dal tedesco Pascal Hartmann, famoso grinder di PokerStars che si è reso protagonista di un gesto di grande fair play durante il Main Event dell’EPT di Barcellona.


Hartmann apre il gioco, ma tutti passano la mano, tranne il giocatore Jiachen Gong, che rilancia.

Mentre questi contava le sue chips, il mazziere inavvertitamente raccoglie le carte dei giocatori che avevano passato la mano, incluso quelle di Gong.

Nel regolamento, è responsabilità del giocatore dover difendere le sue carte e dopo un po’ di discussioni il direttore del torneo ha dovuto dichiarare morta la mano di Gong, assegnando di fatto la vittoria della mano ad Hartmann. Questi ha tuttavia scelto di essere sportivo: ha passato la mano anche lui, dichiarando che avrebbe comunque fatto lo stesso questa scelta, lasciando le chips sul piatto al suo avversario. Questo gesto gli è valso numerosi applausi e parole di congratulazioni.


Un altro gesto di fair play si verificato ad una gara di cross-country a Burlanda (Navarra) nel dicembre del 2012 alla quale partecipa l’atleta basco Ivàn Fernandez Anaya.

Egli è in seconda posizione dietro al leader Abel Mutai con l’arrivo molto vicino. Entrati nella dirittura d’arrivo, il kenyano prende la strada sbagliata. Qui il grande gesto dello spagnolo: invece di approfittare dell’errore dell’africano e vincere la corsa, inizia a chiamarlo per indicargli la direzione giusta. Terminerà secondo ma con l’ovazione di tutto il pubblico presente e le prime pagine dei giornali tutte per lui.

Un altro gesto di fair play proviene dal mondo del tennis.

Durante il Masters di Roma del 2005 il tennista americano Andy Roddick sta vincendo 5 a 3 nel secondo set contro Fernando Verdasco con tre match point a disposizione. Sul servizio dello spagnolo il giudice di linea chiama la palla fuori consegnando la vittoria del match allo statunitense. Ma Roddick non è convinto, va a guardare il segno della pallina e smentisce l’arbitro chiamando il tocco in campo. Verdasco vincerà il parziale al tie-break ed il terzo decisivo set.

Il fair play e lo spirito sportivo stanno assumendo in particolare un’importanza fondamentale durante il periodo della pandemia di quest’anno causata dal virus Covid-19 o Coronavirus.

Distanti ma uniti
L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ci sta costringendo a riprogrammare la nostra quotidianità.

Siamo chiamati a restare in casa, senza poter uscire ormai nemmeno per andare al lavoro, incontrare parenti e amici, fare sport o coltivare le nostre normali abitudini.

Anche il mondo dello sport si è fermato: gli impianti sono chiusi, gli allenamenti sospesi e tutte le manifestazioni rinviate fino a data da destinarsi.

Forse molti penseranno che lo sport sia una di quelle attività che può essere sacrificata a favore della sanità pubblicata e che una regata di canottaggio ed una partita di calcio annullate o un periodo senza allenamenti non siano la fine del mondo.

Giusto, ma per chi vive e dedica allo sport molte ore del proprio tempo, questo stop ha comportato una completa rivoluzione nella propria vita: mesi e mesi di duro lavoro, di fatica sia fisica che mentale, di ore passate in palestra, in piscina, in barca o in sella ad una bici in previsione di importanti gare che ora non si sa se verranno mai svolte.

Il vero sportivo, però, sa affrontare situazioni di sacrificio, impegno e magari sconfitte, senza abbattersi anzi fortificandosi e trovando “nel down” nuovi stimoli per andare avanti.

Ora più che mai bisogna mettere in gioco questi valori. Se ognuno di noi adotta questi leali comportamenti e rispetta le regole aiuterà tutta la società a superare questo ostacolo!

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