“Dubliners” is a collection of fifteen short stories written by James Joyce in which the author analyses the failure of self-realisation of inhabitants of Dublin in biographical and in psychological ways. The novel was originally turned down by publishers because they considered it immoral for its portrait of the Irish city. Joyce treats in “Dubliners” the paralysis of will in four stages: childhood, youth, maturity and public life. The paralysis of will is the courage and self-knowledge that leads ordinary men and women to accept the limitations imposed by the social context they live in. In “Dubliners” the style is both realistic - to the degree of perfectly recreating characters and idioms of contemporary Dublin - and symbolic – giving the common object unforeseen depth and a new meaning in order to show a new view of reality. Joyce defines this effect “epiphany” which indicates that moment when a simple fact suddenly explodes with meaning and makes a person realise his / her condi
La Costituzione all’art. 39 tutela la libertà sindacale e la possibilità di costituire associazioni finalizzate a proteggere i datori di lavoro e i dipendenti, all’interno dei luoghi di lavoro o all’esterno degli stessi, imponendo loro soltanto l’obbligo della registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.
Tutto ciò avviene in un momento in cui si avverte la necessità di rafforzare il pluralismo per consolidare la democrazia nel paese.
In principio, tuttavia, la particolare tutela approntata dal legislatore non si è tradotta nei successivi passaggi (registrazione dei sindacati e conseguente validità dei Contratti Collettivi), a causa del timore di ricadere in un regime di restrizione della libertà associativa e della paura di sottoporre a verifica il peso di ciascuna confederazione dopo la rottura dell’unità sindacale.
La rappresentanza sindacale aziendale veniva regolata attraverso accordi interconfederali che, a partire dal 1943, conferivano tale funzione a un organo - la commissione interna – regolandone la composizione e i compiti.
Negli accordi successivi (1947, 1953, 1966) l’ambito di influenza della Commissione Interna viene via via ridotto a causa dell’offensiva antisindacale messa in atto dal padronato italiano negli anni della ripresa postbellica, per godere di mano libera nell’elaborazione degli obiettivi produttivi e nella massimizzazione dei profitti.
Il capitalismo familistico, dalla parte del datore di lavoro, vedeva molto male qualsiasi legittimazione degli interessi dei lavoratori, percependola come una potenziale limitazione alle prerogative imprenditoriali, e cercava di condizionare le liste elettorali per esercitare il controllo sugli organismi di rappresentanza quando non intimidiva e discriminava i lavoratori sindacalizzati.
Al comportamento del padronato non riusciva a contrapporsi efficacemente la politica sindacale che, preoccupata dalla disoccupazione e dai bassi salari, si concentrava su strategie generali volte a innalzare il livello di vita di tutti lavoratori trascurando di focalizzare la propria attenzione e la propria strategia di rappresentanza sulle unità produttive e sulla organizzazione del lavoro.
Universalismo da un lato e resistenza padronale dall’altro erodono progressivamente il disegno di una rappresentanza dei lavoratori in azienda.
Negli anni Sessanta si susseguono lotte operaie non organizzate ma spontanee, volte ad evidenziare la lontananza dei rappresentanti del lavoro dal mondo della produzione.
In questo contesto di esplosione del conflitto operaio e di contestazione dell’organizzazione del lavoro, matura il progetto di uno Statuto dei diritti dei lavoratori nei luoghi di lavoro, un intervento di tutela dei diritti individuali e di sostegno alla rappresentanza collettiva, il rafforzamento della presenza sindacale all’interno delle unità produttive.
Il Titolo III della legge attribuisce ai sindacati più rappresentativi diritti di rappresentanza e tutele specifiche contro le limitazioni da parte imprenditoriale.
La rappresentatività è definita attraverso l’indicazione ‘nell’ambito delle associazioni aderenti alle Confederazioni maggiormente rappresentative’ e sulla base di una comprovata capacità negoziale ‘associazioni sindacali non affiliate alle predette Confederazioni che siano firmatarie di contratti nazionali o provinciali applicati nell’unità produttiva’.
L’esegesi di questa norma ha portato a sottolinearne il fatto che il legislatore, coerentemente alla tradizione pluralista che si era consolidata negli anni ’50 e ’60, rifugge dall’identificazione specifica degli ambiti della rappresentanza, lasciando spazio a una legittimazione fondata sui fatti e che, senza intervenire nel merito dell’attività sindacale d’azienda, provvede agli strumenti necessari perché essa si possa esercitare.
Nei fatti le rappresentanze sindacali aziendali sono costituite per tutti gli anni ’70 dai delegati di reparto che confluiscono nei consigli di fabbrica, che vengono riconosciuti dai sindacati firmatari dei contratti come dirigenti sindacali e, in quanto tali, protetti dalle tutele previste dallo statuto dei lavoratori per la rappresentanza e l’attività sindacale.
L’elezione su liste aperte e il riconoscimento degli eletti da parte delle organizzazioni sindacali contribuiscono ad allargare il contenuto della rappresentanza sindacale d’azienda, portatrice delle rivendicazioni maturate nelle frequenti assemblee di fabbrica, con la conseguenza di rinnovare i contenuti della negoziazione aziendale. Gli eletti nei consigli di fabbrica vengono riconosciuti, successivamente, dalle organizzazioni sindacali come dirigenti sindacali e, in quanto tali, godono delle tutele previste dallo statuto contro il licenziamento e contro le discriminazioni antisindacali di cui all’articolo 28.
In quanto strumento di tutela dei diritti individuali e di consolidamento dei diritti economici e sociali dei lavoratori, lo Statuto ha rappresentato una tappa di civiltà nella nostra società.
La spinta impressa dallo Statuto dei lavoratori determina, insieme al cambiamento delle relazioni di lavoro nelle unità produttive, anche un importante rinnovamento dei quadri dirigenti del sindacato.
Ciò contribuisce all’allargamento della rappresentanza, alla creazione di una società più inclusiva e al miglioramento delle posizioni del lavoro nell’economia e nella politica nazionale.
La crisi petrolifera nella metà anni Settanta con i suoi risvolti sugli assetti produttivi ed occupazionali e successivamente il processo della globalizzazione economica degli anni Ottanta, erodono via via gli spazi di autonomia dei soggetti economici (lavoratori e imprenditori), ma il capitale di rappresentanza, esperienza, legittimità delle organizzazioni sindacali rimane una risorsa per affrontare tali cambiamenti. In tale contesto, infatti, maturano i coinvolgimenti sindacali nelle politiche economiche e gli aggiustamenti delle rappresentanze sindacali aziendali realizzati all’interno dei Protocolli degli inizi anni novanta.
Essi ratificano il cambiamento delle modalità di espressione della rappresentanza sindacale aziendale attraverso le RSU (Rappresentanze Sindacali Unitarie), elette sulla base di una formula (2/3 liste libere e 1/3 liste sindacali) che intende rafforzare i legami tra le compatibilità macro-economiche e l’esercizio della contrattazione collettiva a tutti i livelli.
In epoca più recente , in un mutato contesto economico - globalizzazione delle merci e del lavoro - le strategie di difesa e di potenziamento dei diritti dei lavoratori sono mutate; già a partire dalla metà degli anni ottanta:
a) sono cambiate le modalità dello sviluppo economico determinando cambiamenti epocali nel lavoro, nella sua esecuzione e nei contenuti sociali dello stesso;
b) l’organizzazione del lavoro si è ridisegnata diventando da verticale a orizzontale attraverso l’esternalizzazione della produzione. La globalizzazione, inoltre, ha favorito la produzione e il consumo di beni fuori dai confini territoriali;
c) la conseguente divisione del lavoro ha cambiato le unità produttive, i profili e le competenze dei lavoratori.
Nel diritto del lavoro si fa strada, nel corso degli anni ’90, una crescente riflessione sui cambiamenti del mondo produttivo e sulle sue implicazioni circa l’identità del lavoro poiché i cambiamenti dell’economia e della produzione hanno profondamente differenziato il lavoro sotto numerosi aspetti.
Le leggi di riforma del mercato del lavoro, lo Statuto dei Lavori, la Carta dei diritti universali del lavoro della CGIL sono solo alcuni esempi dei tentativi di definire e regolamentare il lavoro nella globalizzazione, superando la concezione che aveva ispirato il legislatore dello Statuto.
Lo spazio della produzione è stato frantumato a partire dalla crisi petrolifera degli anni ’70 che non ha annullato il lavoro di produzione, ma lo ha diversamente allocato tra piccole imprese, ove si sviluppano rapporti personali e relazioni sociali ben diverse da quelle sperimentate nelle grandi imprese (lavoro diffuso) che ha contribuito ad aumentare la mobilità del lavoro.
Rispetto agli anni in cui fu concepito lo Statuto dei Lavoratori, la frammentazione produttiva ha determinato un ambiente sfavorevole al radicamento aziendale della rappresentanza nello stesso tempo in cui il lavoro doveva piegarsi alle numerose pressioni degli imprenditori e del mercato.
Lo sfruttamento del lavoro e la tutela dei lavoratori, crescenti e drammatiche vicende di cronaca rendono sempre attuale l’esigenza di una rappresentanza dei diritti dei lavoratori e segnatamente del diritto alla conservazione del posto di lavoro (nel caso di chiusure aziendali senza preavviso), del diritto alla salute e sicurezza del lavoro (nei sempre più numerosi casi di incidenti mortali sul luogo di lavoro) a non subire discriminazioni su varie basi (genere, tempo di lavoro e tipologia di contratto individuale).
In un contesto di capitalismo senza regole, il ruolo del sindacato sembra
legittimarsi proprio a vantaggio degli esclusi e quindi all’esterno delle unità produttive.
È auspicabile un quadro di riferimento costruito su regole valide per tutti e, tra queste, ci sono quelle costruite dallo Statuto dei lavoratori nel titolo I, poi di una protezione economica (salario minimo) e di un sistema di rappresentanza sindacale aziendale più flessibile (plurale, non di liste), onde poter dare voce e partecipazione a interessi di scala più ridotta rispetto a quelli intravisti dal legislatore dello Statuto dei Lavoratori.
Tale quadro di tutela deve comunque ispirarsi a una riflessione sistemica che valorizzi la conoscenza degli attuali scenari tecnologici e cognitivi per impostare una politica pubblica di beni e servizi capace, attraverso la riscoperta della solidarietà, di reintegrare il ruolo del lavoro negli obiettivi socialmente condivisi.
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